La cattura di Andrea Nizza, uno dei 100 latitanti più pericolosi d’Italia, è la dimostrazione lampante del successo e del contemporaneo fallimento dello Stato, sia nel condurre la lotta alla mafia, sia nel portare avanti un’azione efficace contro il sottosviluppo del Sud Italia.

Il successo è senza dubbio della magistratura e delle forze dell’ordine di Catania, che con impegno e professionalità sono riuscite ad arrestare un boss indiscusso che – per conto del clan Santapaola – controllava il traffico degli stupefacenti nei quartieri di Librino, di San Cristoforo e di San Giovanni Galermo, con addentellati in Grecia e in Albania.

Il fallimento è della cattiva politica (che purtroppo spesso riesce a prevalere su quella buona) assolutamente incapace di fare il salto di qualità, limitandosi a delegare a magistrati e forze dell’ordine la guerra all’ala militare di Cosa nostra, senza porsi il problema di rompere i legami con i grandi boss e di rendere vivibili quelle periferie dove nascono e crescono personaggi come Andrea Nizza.

Osservate la foto segnaletica di questo ragazzo: quando è stata scattata, sembrava un bambino  ingenuo e perfino imbranato. Voi pensate che se Andrea Nizza fosse cresciuto in una contesto sano, fatto di scuole, di campi di calcio, di oratori, di spazi verdi, di case vivibili, avrebbe fatto quella fine? Forse è retorico scrivere tutto questo, perché è vero che in questi quartieri ci sono tanti bravi ragazzi che fanno scelte diverse. Ma intanto le statistiche ci dicono che le baby gang ed i baby killer non nascono nei quartieri bene, ma qui. Soprattutto a Librino. E anche in questo caso non vorremmo fare retorica nel dire che su questi immensi terreni, negli anni Sessanta, la politica e l’imprenditoria rampante ci hanno lucrato alla grande costruendo decine di palazzoni senza manco uno slargo per una partita al pallone.  Secondo voi, in posti del genere, i ragazzi come dovrebbero crescere?  Molti hanno la forza di prendere la giusta strada, altri si perdono. Se qualcuno storce il naso, è pregato vivamente di recarsi la sera al Palazzo di cemento, un edificio diventato il luogo ideale per nascondere e spacciare, e anche per occultare armi. Andateci per toccare con mano il fallimento di cui parliamo.

Quartiere Librino a Catania. Il Palazzo di cemento

Andrea Nizza è cresciuto lì. A vent’anni, secondo i magistrati, aveva commesso il primo omicidio. Oggi, a trenta, sia per quel delitto, sia per quello che ha combinato dopo, rischia l’ergastolo.

Prima dei vent’anni, aveva fatto la stessa trafila di molti bambini di quei quartieri, spesso costretti dai “grandi” a determinate pratiche: spaccio a otto anni, scippo a dodici, e poi il furto, e poi la rapina e poi il salto di qualità con l’omicidio. Che (fortunatamente) non è prerogativa di tutti quelli che hanno iniziato la “carriera” assieme a lui. Però nel frattempo, sotto i nostri occhi, è cresciuta una generazione. Che fa da humus, da supporto al leader capace di alzare il livello. Andrea Nizza è l’emblema di tutto questo.

Il sottosviluppo del Meridione esiterà fino a quando la politica non romperà il cordone ombelicale con la mafia, fino a quando non penserà seriamente a risanare urbanisticamente ed eticamente (come diceva un grande siciliano come l’ex presidente del Tribunale dei minorenni Giambattista Scidà) le periferie.

Per un Totò Riina, o un Santapaola, o un Provenzano che va in carcere perché ormai non serve più, ci sarà un Andrea Nizza pronto a prenderne il posto. E dopo di lui, da qualche parte, ci sarà qualcuno che lo sostituirà, e poi ancora.

Nitto Santapaola

Fino a quando questi quartieri serviranno come serbatoi di voti, fino a quando un ministro della Repubblica continuerà a dirci (senza prove) che un urologo brillante come Attilio Manca è morto per overdose di eroina, senza tenere minimamente conto quel che dicono ben tre collaboratori di giustizia, e cioè che il medico è stato ammazzato dai servizi segreti deviati perché aveva scoperto la fitta rete di Colletti bianchi che proteggeva Bernardo Provenzano, curato dallo stesso Manca per un cancro alla prostata da cui il boss era affetto; fino a quando un altro ministro della Repubblica ci dirà che non la mafia bisogna convivere, fino a quando un presidente della Repubblica si opporrà a rendere pubbliche le telefonate con un ex ministro in merito alla trattativa Stato-mafia, fino a quando noi cittadini non alzeremo l’asticella dell’intransigenza morale, e magari per tornaconto o per superficialità continueremo a dare il voto a certa gente, ecco, fino a quando succederà tutto questo, non riusciremo mai ad affrancarci dal sottosviluppo – e quindi dalla disoccupazione, dalla mafia, dalla malasanità, dalla povertà – che ci attanaglia da secoli. Un plauso quindi ai magistrati e alle forze dell’ordine di Catania per quello che fanno ogni giorno, ma su certa politica il nostro giudizio è assolutamente negativo.

Luciano Mirone