A quanto pare, in questi giorni un folto gruppo di messinesi ha ritenuto opportuno trascorrere la proverbiale settimana bianca a Madonna di Campiglio, mossi forse da quell’ardore alpinistico tipico dei veri siciliani, che si nutrono solo di strudel e nelle feste popolari intonano yodel e cori alpini.
Si dice siano almeno una cinquantina, o addirittura due diverse comitive, per un numero complessivo che supera il centinaio. Tutti, o quasi tutti, noti professionisti e imprenditori.
Non contenti di questo, al ritorno gli allegri escursionisti, pur essendo transitati dall’aeroporto di Bergamo, hanno ripreso la loro vorticosa vita sociale, frequentando circoli, campi di tennis e luoghi di lavoro. Financo lo stesso policlinico, dove uno di loro, identificato solo perché presentava sintomi tali da richiederne il ricovero, lavorava in qualità di anestesista.
Senza peraltro notificare il rientro alle autorità, né tantomeno mettersi in quarantena.
Inutile dire che in città è sorto un clima da caccia alle streghe, favorito dagli strepiti di quel “chiassoso personaggio” che è il sindaco Cateno De Luca, vero simbolo della notte dei tempi, il quale ha annunciato che farà pubblicamente i nominativi degli spregevoli untori.
Buonsenso vorrebbe che di simili cose si occupi la magistratura, ma il buonsenso, si sa, ha abbandonato da tempo questi luoghi. Quando invece bisognerebbe perseguire il solo scopo utile a minimizzare il danno, la messa in quarantena di tutte le persone coinvolte e dei loro contatti. In fretta e senza troppo baccano.
Invece tutti ad accanirsi nella ricerca dei nomi, chi mosso da morbosa curiosità, chi da intenti più maneschi.
Vorrei dire ai messinesi che non c’è alcun bisogno di saperli, quei nomi, li conoscete bene.
E’ quella casta che da sempre, a Messina, si considera non al di sopra, ma al di fuori di qualsiasi legge.
Che si autodefinisce, per inspiegabili motivi, Messina-bene, pur essendo un coacervo di massonerie, consociativismi, sodalizi, abusivismi, mafiosità e cavalierati pseudo-crociati.
Che considera la città una personale tenuta di caccia alla volpe, le istituzioni come un fastidio utile solo a collocarvi clientes, Policlinico e Università riserva esclusiva per la propria schiatta, con accessi e promozioni concesse solo per altissimi meriti genetici.
Adusa a tollerare, o a decidere, i crimini più orrendi, tra uno Spritz e una manciata di anacardi.
Che non ha mai aperto un libro, ma può disquisire per ore sul forno che fa la migliore focaccia o sulla corretta etimologia di arancino.
Innalzando negli anni innumerevoli steccati, per fare di Messina non una città, ma un casuale conglomerato di addossate solitudini.
Che senza avere, non dico un albero genealogico, ma nemmeno un pedigree, favorisce costantemente il razzismo interno, per mantenere la città orizzontale e supina, classificando le persone solo in base al quartiere di provenienza e alla scuola frequentata.
Che avantieri era fascista, ieri democristiana, poi berlusconiana, renziana, leghista, pur rimanendo sempre fedele soltanto alla propria egoistica grettezza.
Lasciate perdere i nomi, dunque, cari messinesi. Come ho già detto li conoscete bene.
Sono gli stessi presso i quali, in tempi normali, andate a implorare un prestito, un precariato per il figlio o l’accelerazione di una Tac per il cognato.
Anche in tempi speciali, non possono certo essere migliori di quel poco che sono.
I medesimi presso cui, passata la bufera, tornerete per mendicare un particolarismo, un’elargizione, un’esenzione.
Restate in casa, piuttosto. Affacciatevi al balcone, fate un bel respiro e guardare l’incantevole panorama dello stretto.
L’unica cosa davvero bella che sia rimasta nella nostra città.

Nella foto: il policlinico di Messina

Alessio Pracanica