Dal professore Nino Pulvirenti riceviamo questo contributo sul 25 aprile che pubblichiamo.

Capita puntualmente a ogni ricorrenza che qualcuno si interroghi sull’opportunità di celebrare come festa nazionale il 25 aprile, perché vive come frustante il ricordo che evoca una sconfitta. Così finisce per minimizzarne la portata, ergendogli contro antistoriche censure o il silenzio che fa meno male.

Altri, invece, dopo tanti anni, non riescono a cogliere il nesso tra la Repubblica di ieri e quella di oggi, ritenendo superate le demarcazioni ideologiche intorno alla tutela di valori fondamentali condivisi da tutti, ma non le vicende da cui quei diritti sono stati ispirati.

E, in effetti, almeno a parole, oggi appunto, quasi nessuno sembra mettere più in discussione la democrazia e la libertà che di essa è il valore portante. Quel che ancora divide è il retaggio di un passato non ancora pienamente metabolizzato, la “dannatio memoriae” rimasta incompiuta, la nostalgia di eventi improponibili e di tragici personaggi.

Così succede anche, con la medesima puntualità, che a ogni anniversario in tanti si mobilitino a tutela e difesa della Repubblica antifascista a causa di atteggiamenti omissivi e dichiarazioni fallaci assunti da chi invece, per il ruolo istituzionale rivestito, dovrebbe alimentare il ricordo del sacro fuoco da cui è stata generata.

E la polemica puntualmente si riaccende tra le parti, perché forse una vera  riappacificazione non è ancora avvenuta. Sono trascorsi 79 anni da quel giorno. I protagonisti di allora sono passati a miglior vita. L’odio generato dalla guerra civile è presente solo nelle narrazioni dei libri di storia. Le contrapposizioni ideologiche si sono infiacchite, come anche quelle politiche. Eppure da Destra e da Sinistra non si riesce ancora a superare definitivamente la demarcazione operata da feticci improponibili.

La prima utopia appartiene alla Destra ed è quella di immaginare come un’era felice il Ventennio fascista, perché niente può pareggiare la perdita della libertà e delle garanzie democratiche. Il mito della Nazione forte, armata, autoritaria e autorevole dentro e fuori i confini dello Stato ha prodotto guasti, lutti, privazioni, guerre. E, oggi, nemmeno i più nostalgici di quella dolorosa stagione ne ripropongono i temi, salvo poi il fatto di  continuarne il culto, custodendone la memoria e anche le icone.

La seconda utopia si genera a Sinistra e riguarda certi timori per la tenuta dello Stato democratico francamente infondati. La Repubblica è ormai consolidata. I valori su cui è stata edificata non sono messi in discussione da nessuno. L’alternanza al potere e gli spostamenti del corpo elettorale sono fenomeni contingenti che possono generare nuovi assetti dello Stato, senza minarne però i valori costitutivi.

Per essere superate, entrambe le utopie richiedono la corretta lettura del passato, l’accettazione di quello che è stato, senza mistificazioni e idealizzazioni, tenendo bene in mente che a contendersi la vittoria c’erano due parti ma non due ragioni.

Su questa base, la riconciliazione definitiva è oggi possibile: basterebbe che certa Destra e, soprattutto, chi ci governa prendesse le distanze dal Fascismo, e non da chi lo critica, riconoscendo pubblicamente e con convinzione nel 25 aprile, oltre che l’inizio di un comune percorso di democrazia e di libertà, ciò che simbolicamente rappresenta: cioè la liberazione dell’occupazione nazista, la fine della guerra civile, la sconfitta della dittatura.

A Sinistra allora non resterebbe che prenderne atto, riconoscendo che la Repubblica non appartiene soltanto agli eredi dei Padri fondatori, ma è patrimonio di tutti gli Italiani che accettano i valori di libertà, giustizia sociale e democrazia.

Nino Pulvirenti