Inviata dall’Amministrazione comunale di Belpasso (Catania) al Ministero dell’Ambiente la richiesta di finanziamento per l’istituzione del Bosco Sciaraviva. L’esito della valutazione si prevede fra agosto e settembre, ma nelle 20 associazioni locali che hanno formulato e promosso tenacemente il progetto (portando la Giunta municipale – disponibile all’iniziativa – a inserirlo nel Piano triennale delle opere pubbliche), si respira aria nuova (in tutti i sensi, dopo spiegheremo perché) dopo anni di cementificazione selvaggia che ha portato il comune catanese a registrare il più alto indice di abusivismo dell’intera provincia (fra i più elevati della Sicilia).

L’area “spianata” dalle ruspe comunali che fra gli anni ’80 e ’90 distrussero la colata lavica del 1669. In questo luogo di Belpasso (Catania) dovrebbe sorgere il Bosco Sciaraviva. Sopra: un altro tratto del territorio interessato  

L’elaborato del Bosco ha lo scopo di riparare lo scempio compiuto dal Comune fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, il quale – per ragioni non meglio specificate – aveva deciso di spianare la storica colata lavica del 1669 e l’ampia vegetazione di querce, di pini, di roverelle, di ginestre e di altre specie mediterranee formatesi nel corso dei millenni: tre secoli dopo quella storica colata, qualche amministratore particolarmente “lungimirante”, spedì sul posto le ruspe per abbattere quello “scempio” della natura e spianare i luoghi “deturpati” dall’eruzione (ovviamente il tutto, a scanso di equivoci, è detto con ironia).

Solo oggi, oltre 20 sodalizi, stanno cercando di porre rimedio alle stoltezze del passato, restituendo alla natura ciò che l’uomo le ha sottratto. Il progetto prevede infatti – attraverso uno studio geomorfologico e agricolo-forestale compiuto da esperti in materia – la piantumazione di diverse specie autoctone nell’ampio tratto di territorio danneggiato, e la realizzazione di orti botanici, di sentieri, di spazi per bambini e di un teatro all’aperto costruito sui modelli dell’antica Grecia.

Dicevamo: si respira aria nuova nel comune etneo: nelle stesse ore in cui il progetto veniva trasmesso a Roma, la “rete” dei 20 sodalizi locali dava vita ad un’unica associazione, “Sciaraviva” (nome mutuato dall’idea del Bosco) che ha il fine di “tutelare il paesaggio etneo”.

Un momento dell’assemblea per la costituzione dell’Associazione Sciaraviva tenutasi al Cortile Russo Giusti di Belpasso

Sorta inizialmente su base spontanea, la “rete” ha operato per diversi anni come comitato per l’istituzione del Parco delle Torrette, un’altra porzione di città “quasi” incontaminata e caratterizzata da “torrette”, da terrazzamenti, da vigneti, da frutteti e da antichi sentieri di campagna messi a rischio da un Piano regolatore che prevede l’espansione della città proprio in quel territorio. In attesa di sbloccare l’iter (piuttosto complicato) per il “Parco”, i sodalizi si sono concentrati sull’istituzione del “Bosco” (i cui terreni sono di proprietà comunale), con la consapevolezza di avviare, col tempo, una “saldatura naturale” di entrambe le zone che distano poche centinaia di metri l’una dall’altra, per farne un unico “polmone verde”.

La marcia organizzata qualche anno fa per chiedere l’istituzione del Parco delle Torrette

Presidente dell’associazione è Tony Falbo, vice presidente Antonino Girgenti, segretaria Maristella Longhitano, tesoriera Donatella Fiore, altri componenti del Consiglio direttivo Tony Carciotto, Lucio Magrì, Mario Prastani, Pippo Rapisarda e Paolo Parisi.

“Esprimo profonda gratitudine nei confronti di tutte le associazioni e dei singoli cittadini coinvolti – dice il neo presidente – per aver contribuito alla nascita di Sciaraviva, Rete Tutela Paesaggio Etneo, una realtà che nasce ispirandosi all’articolo 9 della Costituzione Italiana (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) e si inserisce nel solco di un’urgenza: la questione ambientale nei suoi molteplici aspetti e la valorizzazione di un patrimonio storico-paesaggistico collettivo, a forte rischio di compromissione”.

Presidente, qual è l’origine di questa iniziativa?

“Un’unione spontanea iniziata sette anni fa (erano i primi mesi del 2014) tra alcune delle associazioni numericamente più importanti presenti nel territorio di Belpasso, raggiunge una tappa importante in un percorso che sarà lungo e non esente da ostacoli. Questa condivisione di intenti ci ha fatto crescere in partecipazione e consapevolezza, motivandoci ad elaborare insieme una nuova visione e un nuovo approccio del vivere in comune”.

Perché l’esigenza di occuparsi della salvaguardia del territorio?

“Negli ultimi decenni Belpasso è mutata profondamente. Ad una pianificazione del territorio che ha prodotto un tipo di sviluppo noncurante del tessuto sociale, nelle sue forme e possibilità, ha fatto da contraltare l’eterogenea realtà associativa che, pur nelle difficoltà, è riuscita a tenere in piedi un’idea di comunità che trova sempre maggiore disagio ad affermarsi in tale contesto”.

Quale è stata questa mutazione?

“In questo lungo periodo è cambiata la società. Sono cambiati gli approcci alla condivisione degli spazi comuni e, in parallelo, si sono acuite problematiche di ambito globale: i cambiamenti climatici causati dalle attività umane sono entrati in una fase critica e nell’immediato futuro condizioneranno le nostre vite, così come gli effetti dell’enorme consumo di suolo nelle zone urbane e periurbane”.

Come invertire la tendenza?

“Tali questioni potranno essere affrontate efficacemente da una prospettiva locale che metta al centro le relazioni umane e miri al benessere dell’intera collettività, con un piano che comprenda interventi mirati alla salvaguardia di un ambiente, da intendersi come bene primario e valore assoluto, troppo spesso oltraggiato da visioni d’insieme estremamente miopi”.

Quali i punti cardine di questa nuova rete di associazioni?

“Ambiente, patrimonio storico e paesaggistico, sviluppo Sostenibile, con le necessarie implicazioni culturali ed educative, non potranno più rimanere argomenti marginali nel dibattito pubblico. Dimostreremo di non essere una porzione minoritaria di popolazione che chiede la doverosa attenzione a tali temi, ma di contare in maniera considerevole, come osservatori critici e propositivi”.

Lo striscione delle ventuno associazioni che qualche anno fa hanno organizzato una passeggiata per chiedere l’istituzione del Parco delle Torrette

Quali le finalità?

“È un atto di responsabilità rivolto soprattutto alle generazioni future l’adeguamento agli attuali standard di sostenibilità e la valorizzazione dell’esistente, della biodiversità e del paesaggio, e la rapida uscita da una logica di emergenza innalzata a consuetudine che, di fatto, investe troppi aspetti della vita pubblica. Dobbiamo riprogettare, insieme a tutti gli attori coinvolti, enti pubblici ed istituzioni, un territorio che si fondi su nuovi paradigmi. Abbiamo qui, a contatto con il vulcano attivo più alto d’Europa, mirabili esempi per ricreare un equilibrio laddove la natura si manifesta in tutta la sua maestosità e violenza. Un rapporto armonico, antico ma in realtà eterno, che diventa principio ispiratore del nostro modo di vedere le relazioni tra le cose umane e l’ambiente”.

Un patrimonio da conservare gelosamente.

Un altarino lungo il sentiero che collega la zona delle torrette all’Etna

“Questa delicata convivenza genera il sostrato culturale del paesaggio Etneo, una dimensione di valori estremamente ricca di sfumature e unica nella sua compenetrazione di elementi. Si presenta come obbligo morale la custodia di quei beni, depositari di memoria collettiva, minacciati in epoca presente da interventi antropici privi di qualsiasi rispetto del contesto circostante. Un territorio, lì dove sono ancora rintracciabili tracce di vita agreste, disegnato da un reticolo di strade, sentieri e terrazzamenti delimitati da quei muretti a secco, già patrimonio Unesco, che necessitano adeguata tutela”.

Una scelta determinata?

“La nostra collocazione geografica, da troppo tempo periferica rispetto agli avamposti dell’attualità, non costituisce più un alibi per un miglioramento delle nostre abitudini. Quindi, in piena coerenza con le nostre azioni e in sintonia con gli Obiettivi definiti dall’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite entro il 2030, siamo determinati e saremo determinanti, nelle scelte che modelleranno gli anni a venire”.

Luciano Mirone