Confessiamo di provare parecchio imbarazzo nel qualificare con parole appropriate i contenuti della “Relazione sulla morte di Attilio Manca” approvata – lo scorso 21 febbraio – dalla maggioranza dei parlamentari della Commissione antimafia del centrodestra e del centrosinistra. Un documento, quello stilato nell’ultimo scorcio della passata legislatura, che ha costretto il Movimento 5 Stelle a stenderne uno alternativo (già pubblicato da questo giornale in tre puntate).

È vero che il senatore del Pd Beppe Lumia, distintosi in passato per le battaglie portate avanti sul caso dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), in sede di approvazione del documento si è astenuto? Perché non ha detto la sua? Perché la presidente della Commissione Rosi Bindi, da un lato presenta questa relazione, dall’altro dichiara (ottobre 2014) che “quella di Attilio Manca tutto è tranne che una morte per suicidio di droga”? Perché la Commissione ha votato un testo mancante, in diversi passaggi, di supporti probatori?

Il senatore del Pd Beppe Lumia. Sopra: la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi

Onestamente ci saremmo aspettati una presa di posizione dell’on. Claudio Fava, che quando è stato vice presidente della Commissione si è distinto per essere stato uno dei più lucidi contestatori dell’inchiesta svolta dai magistrati di Viterbo, città dove Manca è stato trovato morto la mattina del 12 febbraio 2004 e dove operava da meno di due anni all’ospedale Belcolle. Fava si è dimesso nello scorso novembre dal parlamento nazionale per candidarsi alle elezioni siciliane, quindi non ha avuto il tempo di lavorare alla stesura di questo testo, ma da lui – in quanto conoscitore attento dei fatti – ci saremmo aspettati un segnale forte.

Quella di Palazzo San Macuto è una relazione basata su fatti reali o su dati apparenti che la magistratura di Viterbo ha accreditato come veri? Anche se abbiamo studiato approfonditamente il caso, non abbiamo la presunzione di ergerci a depositari della verità. Però non possiamo astenerci dal commentare (in corsivo) le contraddizioni che – a nostro avviso – emergono da questo testo. Come si fa a parlare, nella medesima relazione, di un’inchiesta fatta male (quella di Viterbo) e contemporaneamente sposarne i contenuti?

Riteniamo profondamente sbagliato fare il tifo per una tesi (suicidio per overdose di eroina praticata al braccio sinistro di un mancino puro) o per un’altra (omicidio a causa del presunto coinvolgimento di Attilio Manca nell’operazione di cancro alla prostata eseguita al boss latitante Bernardo Provenzano nel 2003 a Marsiglia). Su un caso del genere bisogna fare parlare i fatti, mettendo in evidenza gli elementi oggettivi ed evitando congetture e teoremi. La Commissione antimafia l’ha fatto?

La stessa Bindi era arrivata a usare il sarcasmo quando l’ex procuratore di Viterbo Alberto Pazienti e l’ex Pm Renzo Petroselli (titolari dell’indagine) si erano presentati davanti alla Commissione per chiarire le incredibili anomalie (peraltro mai chiarite) emerse nel corso dell’inchiesta. Oggi Palazzo San Macuto non solo abbraccia la tesi sostenuta dai protagonisti di quella memorabile audizione, ma dimentica tanti particolari fondamentali per l’accertamento della verità.

L’ex procuratore di Viterbo Alberto Pazienti e l’ex pm Renzo Petroselli, titolari a Viterbo delle indagini sulla morte di Attilio Manca

Qualcuno ci corregga se sbagliamo, ma è vero che nella relazione non c’è traccia delle dichiarazioni di ben quattro collaboratori di giustizia (Setola, Lo Verso, D’Amico e Campo) che parlano di omicidio di mafia legato all’operazione di Provenzano? È vero che non c’è traccia dell’inchiesta delle “Iene” che ha evidenziato il livello di inattendibilità degli “amici” barcellonesi di Attilio, ritenuti i cardini dell’inchiesta? È vero che viene minimizzato il ruolo di Ugo Manca (cugino della vittima, tirato in ballo dal pentito Giuseppe Campo) di cui vengono incredibilmente dimenticati i movimenti seguiti alla morte di Attilio, la sua contiguità con la mafia barcellonese, la figura centrale che egli ha nel contesto degli “amici” siciliani di Manca che hanno testimoniato contro il medico?

È stato accertato chi ha dichiarato il falso fra il capo della Squadra mobile di Viterbo, Salvatore Gava (secondo cui il dottor Manca era presente all’ospedale Belcolle nei giorni in cui Provenzano si sottoponeva all’operazione a Marsiglia) e la troupe della trasmissione di Rai Tre “Chi l’ha visto?”, che ha stabilito esattamente il contrario attraverso i registri delle presenze? È stato chiarito perché, dopo quello scoop, “Chi l’ha visto?” non si è più occupata del caso Manca? A Palazzo San Macuto è stato sentito un testimone fondamentale come il dottor Gava?

Singolare la cautela con la quale la Commissione tratta il caso: frequentissime le parole come “sembrerebbe”, “verosimilmente”, “probabilmente”, “parrebbe”, ma altrettanto singolare la sicumera con la quale dà per certa la cessione di eroina da parte della donna romana (Monica Mileti) ad Attilio Manca e il successivo decesso per “auto inoculazione”.

Per ragioni di spazio dobbiamo tralasciare la parte scientifica che riteniamo di trattare nuovamente (dato che ce ne siamo già occupati per dieci puntate facilmente consultabili attraverso il link su Attilio Manca) in un secondo tempo. Per “parte scientifica” intendiamo lo stato del cadavere al momento del ritrovamento, i verbali di sopralluogo stilati dalla Polizia, le foto del corpo senza vita del medico, il referto autoptico, l’esame tossicologico, il test tricologico e altri aspetti tecnici.

Il cadavere di Attilio Manca come è stato ufficialmente scoperto dalla Polizia

Ma vediamo cosa scrive l’Antimafia.

“Nemmeno l’abitazione presentava segni di intrusione o di anomalie di sorta”.

Siamo sicuri? Negli atti dell’inchiesta risulta un parquet divelto (per il quale i familiari di Attilio hanno dichiarato di aver pagato le spese di riparazione alla proprietaria dell’appartamento), mentre gli stessi congiunti dell’urologo giurano che ci fosse anche un peso da ginnastica rotto, con la sabbia interna sparsa in alcuni angoli della casa. È vero?

“Sulle siringhe, l’esame dattiloscopico, ordinato tempo dopo dal GIP, non consentiva di rilevare, su una di esse, alcuna impronta digitale, mentre evidenziava, sull’altra, un’impronta ma non utilizzabile, per le sue dimensioni, ai fini di una comparazione”.

Dunque la Commissione ammette che non esistono prove sul fatto che a praticare i due buchi al braccio sinistro di Attilio Manca (quello sbagliato, in quanto, ricordiamolo, il medico era mancino) sia stato lui stesso o siano stati altri. E allora perché dal 12 febbraio 2004 (data del ritrovamento del cadavere) ci dicono che l’urologo è morto per “inoculazione volontaria”? Perché lo fa la stessa Antimafia? Con quali elementi?

Luciano Mirone

1^ puntata. Continua