La revoca della scorta ad una personalità “ad altissimo rischio” – per dirla con Antonino Di Matteo – come Antonio Ingroia da parte dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti spiega meglio di qualsiasi analisi politica perché al governo ci sono i 5S e la Lega e non il Pd. Specie se si pensa alla motivazione con la quale il Viminale – con una decisione adottata in extremis a maggio, quindi agli sgoccioli della scorsa legislatura – ha tolto la protezione ad una delle persone più a rischio d’Italia: “Non ci sono pericoli immediati per la sua incolumità”.

Da quale elemento l’ex governo Gentiloni sia giunto a questa conclusione non si sa, fatto sta che da un mese il Pm – oggi avvocato – che ha istruito i processi di mafia fra i più delicati del dopoguerra (Trattativa, Dell’Utri, Contrada, Mori-Obinu, De Mauro, Rostagno e tanti altri) è senza scorta. Un fatto che ha indotto un magistrato solitamente prudente come Di Matteo a lanciare un appello al nuovo governo per ripristinarla al più presto.

Possiamo accusare finché vogliamo di populismo l’attuale esecutivo, ma mettere a rischio la vita di Ingroia, con una decisione arrivata alcuni giorni dopo la sentenza del processo Trattativa, vuol dire allontanare sempre più dal Partito democratico quel popolo di sinistra che sulla questione morale e sulla lotta a ogni forma di illegalità ha riposto le sue speranze per togliere questo Paese dalle grinfie delle mafie che l’attanagliano da alcuni decenni.

È triste che segnali così inquietanti arrivino da un partito che ha ereditato le grandi lotte di Antonio Gramsci, Girolamo Li Causi, Accursio Miraglia, Placido Rizzotto, Pio La Torre, Enrico Berlinguer, Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Giorgio La Pira, Piersanti Mattarella, simboli di una politica che sull’etica ha costruito le proprie fondamenta.

Segnali come questo, aggiunti ad altri, condannano chissà per quanti anni la sinistra ad una marginalità politica che – se le forze attualmente al governo dovessero deludere sul piano della questione morale – potrebbe portare questo Paese al disfacimento definitivo, anche se il centrosinistra, un giorno, dovesse tornare a Palazzo Chigi. Sì, perché senza un serio rinnovamento, anche una eventuale vittoria, sarebbe da ritenere come l’ennesima dolorosa sconfitta.

La revoca della scorta ad Ingroia è soltanto l’ultimo orrore di una lunga serie di cui il Pd si è reso protagonista: da certe scandalose alleanze al governo nazionale e negli enti locali, alla vergognosa relazione stilata in Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi sulla morte dell’urologo Attilio Manca.

Tante volte ci hanno garbatamente spiegato che “il compromesso” è il sale della politica. Forse è vero, ma a patto che il compromesso non ti comprometta, che non ti spinga a oltrepassare “il limite” esistente fra la moralità e l’immoralità: non è sancito in nessuna legge, quel limite, ma è scritto nelle coscienze di ognuno di noi.

Immagine d’apertura: un manifesto del Pd. Foto Firenze today

Luciano Mirone