La solita sensazione di paura e di ebrezza che mi pervade alla vigilia di un sogno lungamente inseguito: la partecipazione al Salone internazionale del libro di Torino (Sabato 11 Maggio, ore 19, padiglione OWAL W137 della Regione Sicilia, dialogo con la direttrice della Biblioteca regionale di Palermo, Marcherita Perez). Chi l’avrebbe mai detto? Sì, la solita fottutissima paura che ti prende quando sei al cospetto di una cosa nuova, inesplorata e meravigliosa.

E-se- arrivo-tardi-all’aeroporto?/la-barba-è-troppo-lunga?/e-il-biglietto-stampato-sul-telefonino/e-se-c’è-turbolenza?/quando-arrivo-mi-conviene-prendere-il-taxi-o- è-meglio-la-metro?/e-quando-sarò-lì-da-quale-porta-devo-entrare?/e-se- mi-sparano-quelle-cazzo-di-frasi-con-almeno-quattro-parole-in-inglese?

Insomma, paranoie pazzesche che alla vigilia di un appuntamento come questo ti impregnano il cervello, il midollo e le ossa, perché in realtà io mi sento come Totò e Peppino quando (da Napoli) arrivarono a Milano e per darsi un tono “settentrionale” chiedevano informazioni al Vigile urbano attonito: “Volevù?”, “Veramòn?”.

“Il Caso Martoglio” esposto durante una presentazione. Sopra: uno scorcio del Salone del libro di Torino (foto Ansa, Alessandro Di Marco)

Quando mi muovo dalla Sicilia per recarmi in “Continente”, io sono questo, un siciliano permeato da quel senso di “siciliudine” e di “isolitudine” che mi fa sentire diverso dagli altri, perché il mare che circonda quest’Isola interrompe qualsiasi contatto col mondo, anche quando il mondo è di fronte. E però ci sono i libri, la cultura, le idee, le fantasticherie, i sogni che ti collegano con milioni di esseri umani di tutto il pianeta e di ogni epoca.

E alla fine riesco a cavarmela. Soprattutto all’estero riesco ad intrattenere dei dialoghi (anche esilaranti) con un sacco di persone: forse perché possiedo una dote comune a molti siciliani: la mimica e l’espressività, pur avendo dimenticato quel poco di inglese studiato alle medie e al liceo. Non avete idea di certe avventure capitatemi ad Istanbul, ad Hammamet, a New York e a Boston (magari ne parliamo un’altra volta).

Ma torniamo al Salone del libro, una di quelle tappe importanti della vita di uno scrittore che non puoi non condividere con i tuoi amici lettori. Arrivo a questo appuntamento in un momento di grande creatività ed energia: il volume uscito nello scorso ottobre, “Il Caso Martoglio”, sta andando oltre le più rosee previsioni, presentazioni in tutta Italia, apparizioni anche alla Rai, un congruo numero di ristampe.

Una sensazione di vibrante e “felice paura” che trae origine soprattutto dal fatto che questo libro (come i due precedenti, “Il set delle meraviglie” ed “Itaca”, anche questi con un apprezzabile successo alle spalle) non ha editori alle spalle, anche di un certo livello, pur potendoseli probabilmente permettere.

È una scelta che il sottoscritto ha ritenuto di intraprendere per diverse ragioni: innanzitutto perché considera scandaloso il 7% che l’editore corrisponde all’autore dopo anni di immenso lavoro, poi perché i tempi di attesa affinché un editore “di livello” valuti un’opera sono biblici (due, tre e perfino quattro anni), poi perché non sempre gli editori valorizzano i propri autori con un’adeguata pubblicità e distribuzione.

Alla fine, siccome ammetto di avere poca pazienza, ho tagliato la testa al toro diventando editore delle mie opere attraverso il nome di questo giornale: “L’Informazione”.

Queste opere nascono dal nulla (i libri, i soldi per stamparli, la casa editrice, le energie) e si materializzano in una fantastica realtà. E dal nulla arrivano magicamente alla Camera dei deputati, nelle Università, nelle scuole, al Museo biblioteca dell’attore di Genova, in decine e decine (abbiamo perso il conto delle presentazioni fatte finora) di sale, di piazze, di auditorium di piccoli e grandi comuni con sale piene di belle energie.

La storia sulla morte di uno degli artisti più geniali del ‘900, che con la sua straordinaria attività ha segnato in modo indelebile il mondo del teatro, del cinema e del giornalismo sta appassionando parecchia gente. Troppo evidente quell’insabbiamento di Stato cancellato dal fascismo e dalla guerra, troppo libero quello spirito socialista per non essere rimosso negli aspetti più marcatamente intellettuali (Martoglio fu maestro di palcoscenico di Luigi Pirandello, ispiratore del neorealismo di Visconti, De Sica e Rossellini, pioniere del cinema muto e del giornalismo satirico) dallo stesso regime che cercò di eliminare l’attenzione sul vero movente del delitto Matteotti, collegato con la fine di Martoglio attraverso certo notabilato catanese che dopo la Marcia su Roma si sarebbe riciclato alla grande nella “nuova” politica del ventennio.

Meglio lasciare in eredità ai posteri il Martoglio bozzettista, il Martoglio che faceva ridere, che mai avrebbe potuto essere vittima di un omicidio camuffato da “caduta accidentale”. Se perfino certi intellettuali sono caduti in questa trappola, figuriamoci la gente comune.

E intanto, malgrado le belle cose che stanno succedendo, mi sento come un bambino che deve varcare il cancello della prima elementare. Vivo troppo in simbiosi con le cose che scrivo per non provare emozioni, vivo i miei personaggi e mi immedesimo in loro e alla fine della stesura di un libro non riesco a staccarmi da loro, da Attilio Manca al generale Dalla Chiesa, da Giuseppe Fava a Mauro Rostagno, da Pierpaolo Pasolini a Cosimo Cristina, passando da Mario e Giuseppe Francese, Adolfo Parmaliana, Mauro De Mauro, Beppe Alfano, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti, tantissimi altri.

Martoglio è stato (ed è) uno di quei personaggi che affascinano: come si fa a non amare uno spirito libero che sta dalla parte degli ultimi e si mette sempre contro il potere oppressore e prepotente? “Se i lettori troveranno che la nostra penna scrive con il fiele, ricordino che essa è invece inzuppata di lacrime amarissime”. È una frase che Martoglio scrisse nel primo numero (1889) del suo giornale, il D’Artagnan, una frase che racchiude il destino di tutti gli intellettuali amati dal popolo e odiati dal potere. Per questo lo amo, per questo voglio far conoscere la sua storia.

Luciano Mirone