L’inchiesta Athena, nel filone che tratta le presunte infiltrazioni mafiose nel voto delle amministrative del 2022 a Paternò e che coinvolge, tra gli altri, l’attuale Sindaco Naso e gli ex assessori Comis e Cirino, ha aperto uno squarcio di luce sul condizionamento operato dalla criminalità organizzata sui risultati dell’ultima competizione elettorale comunale.

Le informazioni che sono trapelate, che dovranno essere confermate in sede di giudizio, non costituiscono certo una novità per delle elezioni amministrative siciliane. S’innestano perfettamente nel solco di quanto era già emerso nell’inchiesta per infiltrazioni mafiose a Randazzo (con il comune poi sciolto per mafia) e la successiva inchiesta Pandora nel comune di Tremestieri Etneo.

L’inquinamento mafioso nelle competizioni elettorali e la capacità di condizionarne il risultato, dunque, è una questione quanto mai attuale e che investe, come è logico, la capacità della criminalità organizzata di piazzare dei propri referenti politici laddove vengono assunte decisioni amministrative.

LE REAZIONI POLITICHE ALL’INCHIESTA ATHENA. La reazioni del Sindaco Naso all’inchiesta (che lo vede tuttora indagato) si potrebbe definire tipica del suo modus operandi. Via il troppo compromettente assessore Comis, si è difeso facendo leva sull’argomento pretestuoso della negazione della custodia cautelare nei suoi riguardi da parte del Gip, come se tale decisione fosse equiparata o equiparabile ad una richiesta di archiviazione. Ed ha poi rilanciato nominando tre nuovi assessori, provenienti tutti dalla società civile e slegati (tutti?) dal condizionamento partitico. Chi si aspettava un Naso remissivo o addirittura dimissionario, evidentemente non lo conosce.

L’opposizione istituzionale, quella che siede nei banchi consiliari e riconducibile con lacci e lacciuoli a Fratelli d’Italia, a parte i comunicati di circostanza, è rimasta inoffensiva. Passare al ruolo di nemico numero uno di Naso dopo averlo tirato per mesi per la giacca per entrare “responsabilmente” in Giunta, non è facile da mettere alle spalle, nemmeno per gli elettori più smemorati. Ma dietro questo silenzio si cela probabilmente una strategia. Si aspetta appassionatamente il fatidico trascorso dei due anni, sei mesi ed un giorno affinché scatti l’incandidabilità per Naso per poi procedere con una repentina mozione di sfiducia. Il che, però, potrebbe rivelarsi un boomerang. Se è vero, infatti, che Naso sembra aver smarrito uno straccio di maggioranza in Consiglio, è anche vero che vengono sottovalutate le abilità trasformiste dei consiglieri comunali, capaci di passare da una parte all’altra dello schieramento con la stessa facilità con cui si cambia la fila al supermercato.

Ma Paternò, come si sa, non è una città come le altre. A sua disposizione vanta interi blocchi istituzionali di primissimo ordine, che spaziano dal Presidente del Senato al Presidente dell’ARS, da un Deputato nazionale fino ad un membro laico del CSM, tutti Fratelli d’Italia.  Che, però, sull’argomento dimissioni Naso e possibile scioglimento del consiglio per infiltrazioni mafiose, non hanno finora speso una parola. Garbo  istituzionale? Questioni delicate su cui è meglio sorvolare? Vedremo.

L’opposizione extra-consiliare, costituita dal fronte progressista (PD, M5S e Verdi), fa quello che deve e, soprattutto, può fare: comunicati alla stampa, richieste di dimissioni, manifestazioni ed eventi pubblici. Ma la disparità di forze in campo fra chi è dentro le istituzioni cittadine e chi forse è il maggior defraudato dall’ultima competizione elettorale è schiacciante.

IL CONSENSO ELETTORALE E IL VOTO DI SCAMBIO. Ma ciò che emerge dall’inchiesta e che però sembra ostinatamente rimanere sullo sfondo del dibattito pubblico cittadino riguarda un altro aspetto fondamentale che non è marcatamente penale, ma più prettamente politico: le modalità attraverso le quali si costruisce il consenso elettorale.

È noto che mischiare piani che viaggiano su binari diversi, quello giudiziario e quello politico, sia una vecchia strategia comunicativa che trova infiniti esempi, sdoganata dal berlusconismo e sopravvissuta fino ad oggi. Anche nel caso dell’inchiesta paternese, lo stesso Naso ha parlato di “giustizia ad orologeria”, come se la vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto fosse nata da chissà quale raffinata strategia politica dei suoi avversari per farlo fuori.

Sul piano giudiziario Naso avrà tutti i mezzi per chiarire la sua posizione. La giustizia ha i suoi tempi, i suoi gradi di giudizio e le sue procedure, che partono dal tassello ineludibile della presunzione d’innocenza.

Ma sul piano politico il discorso cambia. Perché esiste innanzitutto un piano di opportunità e decoro per la carica che riveste, che non appartiene privatisticamente né a Naso né a qualsiasi altro cittadino. La carica di primo cittadino, proprio perché rappresenta tutti, richiede sempre di essere al di sopra di ogni sospetto. Ragione per cui le dimissioni sarebbero state non solo opportune, ma necessarie.

Rimanendo sul piano politico, però, questo discorso andrebbe allargato, e di parecchio, allo scambio di voto in senso generale, non solo quello inquinato dall’interesse mafioso. Dovrebbe coinvolgere chi, specialmente se amministratore in carica, in cambio del voto promette e si adopera per favorire un posto di lavoro, una concessione edilizia, un incarico politico, e così via.

Tale modalità malata e deviante di costruire il consenso elettorale è così penetrata nel nostro sistema culturale e sociale che, ormai, è ritenuta nel senso comune come qualcosa di ordinario, di “normale”. Ovviamente fa leva sullo stato di necessità dei cittadini elettori e sulle condizioni sociali drammatiche che viviamo. Più un cittadino si trova in stato di grave indigenza, più il suo voto è ricattabile.

La costruzione del consenso attraverso lo scambio di voto conduce ad un circolo vizioso difficile da scardinare. Perché l’alterazione della competizione elettorale, oltre che essere antidemocratica, seleziona una classe dirigente inadeguata, spesso cialtrona e sempre indaffarata dietro i propri interessi che quasi mai collimano con quelli generali della collettività.

Ed ecco allora che per molti cittadini, vittime di una vera e propria sindrome di Stoccolma, un diritto diventa un favore e la ricerca dissennata del consenso avviene attraverso capibastone portatori di pacchetti di voti che rimangono fedeli o cambiano casacca a seconda della quantità e qualità dei favori che riesce procurare il candidato di turno. Un mercato del pesce a tutti gli effetti, dove i soldi sono i voti e i pesci sono i favori politici.

Viene spesso avanzata l’argomentazione per cui la questione politica della costruzione lecita del consenso elettorale non interesserebbe i cittadini, più propensi ad ascoltare le questioni legate alle bollette TARI o ai buoni pasto al supermercato. Forse, e la difficoltà è proprio questa, andrebbe spiegato che l’origine dei problemi personali di ciascun cittadino, comprese bollette e buoni pasti, è strettamente correlata a ciò che si può considerare una vera e propria emergenza democratica, con amministratori non solo inadeguati a prospettare soluzioni complesse per problemi complessi, ma del tutto disinteressati a perseguire interessi collettivi.

Qualcuno di recente, in modo pertinente, ha provato a tirar fuori la vecchia e cara questione morale che, forse, mai come adesso, è diventata prevalente e prioritaria, a Paternò e non solo. In una città che sembra sempre distratta e silente, è una cosa di non poco conto.

Nella foto: l’illustrazione di apertura è dell’autore di questo articolo

Andrea Maione