Gentilissima Onorevole Caterina Chinnici, lei si accinge a candidarsi come capolista di Forza Italia nella circoscrizione di Sicilia e Sardegna per le prossime elezioni europee di giugno, dopo essere stata – quando militava nel Pd – per ben due volte parlamentare europea ed assessora dell’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, finito sotto processo, ma assolto, per concorso esterno in associazione mafiosa. 

Sinceramente le auguriamo di “non” vincere, non per una questione personale, ma perché lei, con il cognome che porta (come quello di Rita Dalla Chiesa) legittimerebbe il partito fondato da Marcello Dell’Utri e da Silvio Berlusconi: il primo condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, il secondo, al netto delle condanne riportate, delle leggi ad personam, delle amicizie compromettenti e dell’appartenenza alla P2 per essere stato un esempio devastante per milioni di italiani in fatto di moralità e di rispetto delle regole.

Si rende conto che il nome di suo padre – il giudice Rocco Chinnici, grande magistrato che ha fondato il pool antimafia di Falcone e Borsellino, che ha riaperto le indagini sulla morte di Peppino Impastato, che ha indagato in modo integerrimo sui rapporti fra i cugini Salvo di Salemi e Giulio Andreotti, che nel 1983, a Palermo, è stato fatto a pezzi da un’autobomba – continuerà ad essere strumentalizzato da chi vuole rifarsi una verginità?

Perché ha deciso di stare in un contesto del genere? Secondo lei la mafia, alle europee, per quale coalizione voterà? Quale è la sua “battaglia interna” contro l’inquinamento del voto? Perché non fa una dichiarazione pubblica in cui dice che il partito e l’aggregazione  di cui fa parte rifiutano in modo categorico i voti della mafia? Perché non dice qual è il progetto di Forza Italia per sconfiggere Cosa nostra, ndrangheta, camorra e sacra corona unita? 

Malgrado le evidenti contraddizioni, lei ha deciso di candidarsi in un partito discusso e in una coalizione assai discutibile che sta lavorando in sordina per favorire determinate dinamiche (a meno che non si pensi che per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina – solo per fare un esempio – le mafie delle due sponde non si stiano mobilitando: potremmo anche non pensarlo, ma i fatti spiegati dalla magistratura vanno in tutt’altra direzione) e per restringere l’agibilità democratica in diversi settori.

Non che il Partito democratico – nel quale lei ha militato prima di arruolarsi in FI – sia il massimo, anzi: ci sono volponi che in nome della carriera e di determinati interessi flirtano con il peggio della politica italiana rischiando di diventare “funzionali” ad essa. E poi è vero: troppa puzza sotto il naso, troppa arroganza, troppa saccenteria, troppa rissosità, troppa cialtroneria in certi militanti, ma sul piano etico e dell’agibilità democratica, fra le due parti, c’è un abisso, non fosse altro che per la presenza di movimenti come i 5S, che recentemente alla Regione Puglia hanno ritirato i propri assessori in nome della questione morale.

Ma ci rendiamo conto che questo, forse, è un articolo di parte. O forse no (dipende dai punti di vista). Invitiamo quindi la dottoressa Chinnici a fare una comparazione fra le due coalizioni per comprendere quanti inquisiti, quanti rinviati a giudizio e quanti condannati esistono da un lato e dall’altro. La invitiamo ad osservare la capacità di autonomia e di critica dei militanti dell’uno e dell’altro schieramento, il condizionamento – soprattutto economico – esercitato dai blocchi sociali che sostengono i due raggruppamenti, la piega che sta prendendo questo Paese sulla lotta alle mafie e alla corruzione, sull’ambiente, sulla giustizia, sul premierato forte e sulla libertà di informazione.

Si potrebbe obiettare che a destra ci sono tantissime persone perbene, e ne siamo convinti, ma in questo caso dobbiamo metterci d’accordo su questo termine: “perbene”. Che vuol dire? È sufficiente essere gentili, disponibili, generosi, pagare le tasse, andare a messa la domenica, non percepire tangenti, non essere affiliati alla criminalità per essere considerati “perbene”, oppure è necessario non prestare la propria faccia a un sistema perverso che non consente a questo Paese di progredire?

Ne conosciamo di persone “perbene” o non sarebbe meglio definirle “complici”, o magari  componenti di quella “zona grigia” che alimenta la mafia che spara, la mafia che brucia la migliore gioventù con il traffico di droga, la mafia che compie gli attentati e le stragi. Ha presente i vasi comunicanti? E’ un metafora per dire che gli uni e gli altri – “malacarne” e gente “perbene” – appartengono allo stesso sistema.   

È questo, gentilissima Onorevole Chinnici, il nodo gordiano della politica italiana e noi siamo convinti che lei lo abbia compreso benissimo, solo che continuiamo a chiederci perché ha deciso di fare una scelta come questa.

Luciano Mirone