Un libro che fa finalmente chiarezza sulla morte misteriosa (e sul relativo insabbiamento) di uno degli artisti più geniali e poliedrici del periodo a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento italiano, Nino Martoglio, commediografo, maestro di teatro di Luigi Pirandello, autore e regista del cinema “muto” (al suo capolavoro, Sperduti nel buio, si sono ispirati, secondo autorevoli critici cinematografici, fra cui Umberto Barbaro, i grandi maestri del neorealismo come Visconti, De Sica e Rossellini, oltre al russo Eisenstein e all’americano Griffith), giornalista e poeta.

Il libro è Il Caso Martoglio. L’autore Luciano Mirone, direttore di questa testata. Il sottotitolo: Un misfatto di Stato alla vigilia del fascismo. Casa editrice: L’Informazione, la stessa che pubblica questo giornale.

Dopo tre mesi dall’uscita, è esagerato definire questo volume (come hanno fatto diversi intellettuali che lo hanno presentato)  un “caso letterario”? L’opera è stata stampata da una piccola casa editrice, non si avvale di un distributore, vive di presentazioni, di acquisti fatti direttamente o online (tramite il sito del giornale, www.linformazione.eu) e dell’interesse culturale di alcune librerie che lo mostrano nelle loro vetrine.

Non tocca a noi dirlo, anche se in soli tre mesi il volume è stato presentato in tante prestigiose sedi, dalla sala stampa della Camera dei Deputati all’Università di Catania (con relativo patrocinio di Unitré, Società Dante Alighieri e Società di Storia Patria), da Banca Generali di Roma alle tante librerie e rassegne letterarie ed è stato recensito da quotidiani nazionali e regionali.

Nei prossimi giorni “Il Caso Martoglio” varcherà nuovamente lo Stretto e verrà presentato in un’altra prestigiosa sede: il Museo Biblioteca dell’Attore di Genova (uno degli archivi più preziosi per l’autore per costruire il volume), dove sono conservati i Fondi (lettere, foto, borderò, copioni) dei teatranti fra i più rappresentativi d’Italia: basti pensare alla copiosa corrispondenza fra lo stesso Martoglio e Pirandello, Verga, Capuana, De Roberto, Rosso di San Secondo, Bracco, Musco, Grasso, Niccodemi, Praga. Oppure ai documenti che riguardano il “simbolo” del teatro genovese: il comico Gilberto Govi, che ha fatto divertire intere generazioni di spettatori.

E poi Adelaide Ristori, Tommaso Salvini, Silvio D’Amico, Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Alberto Lionello, Virgilio Marchi, Ruggero Ruggeri, Paolo Stoppa, Sergio Tofano ed Ermete Zacconi. Uno “scrigno” straordinario di aneddoti, retroscena, storie inedite.

Da qualche tempo L’Informazione ha avviato un dialogo con altre importanti istituzioni affinché questo cold case (supportato da una biografia in parte inedita dell’artista catanese) possa essere conosciuto in altre parti d’Italia anche dai giovani. Ecco perché – dal punto di vista della rottura con la verità ufficiale – Il Caso Martoglio può essere definito davvero un “fenomeno letterario”. Cosa ne pensa l’autore?

“Non giudico le mie opere. Ringrazio quelli che in questi tre mesi mi hanno gratificato con i loro giudizi . Il giornalista deve avere il coraggio di raccontare la verità a trecentosessanta gradi, senza pregiudizi o schemi mentali, senza inventare nulla o fare congetture, deve fare parlare i fatti mettendoli in fila e confrontarli con le testimonianze che raccoglie. La verità non è una categoria soggettiva, ma oggettiva: a condizione di saperla cercare e narrare”.

Cosa ti ha colpito maggiormente di questa storia?

“La sicumera di insabbiare un cadavere eccellente con motivazioni talmente inverosimili da toccare il ridicolo. Martoglio a quel tempo era un divo. Era popolarissimo fra tutti gli strati della popolazione”.

A quale siciliano dei giorni nostri potremmo paragonarlo?

“Ad Andrea Camilleri e Franco Battiato, ma probabilmente era più famoso. Abbracciava tanti aspetti della vita pubblica e culturale, italiana ed europea: dal teatro al cinema, dal giornalismo alla poesia, fino alla politica”.

Cioè?

“Era un socialista intransigente che col suo giornale satirico, D’Artagnan, aveva messo alla berlina la destra storica, preparando la ‘grande rivoluzione’ del più grande sindaco di Catania, Giuseppe De Felice, ‘padre’ dello Statuto dei lavoratori, che dal 1902 al 1920 cambiò letteralmente il volto della città, definita proprio da allora, non a caso, la ‘Milano del Sud’ per le innovazioni che egli seppe apportare: Milano e Catania, allora, erano le più grandi città socialiste d’Italia”.   

E Martoglio?

“Fu l’animatore della città per tanti anni, prima della ‘fuga’ per Roma. Dopo l’invenzione del cinema da parte dei fratelli Lumiere, lui seppe intercettare anche questa novità invitando, attraverso il suo giornale, i catanesi a ‘scoprire le straordinarie mirabilie del cinema’. Era amatissimo dal popolo, ma odiatissimo dal potere. Per la sua attività giornalistica e politica subì oltre duecento querele e intraprese ventuno duelli”.

Perché si tratta di un cold case clamoroso?

“Clamoroso è l’insabbiamento durato oltre cento anni e le tante bugie raccontate. Clamoroso è il silenzio che ha circondato la storia, allora come ora, come se un unico filo nero legasse il passato al presente”.

Cioè?

“Troppi poteri occulti dietro a questa vicenda che anticipa il fascismo di un anno, ma che è già immersa nelle violenze e nel contesto delle alleanze fra nuovo potere nero e aristocrazia mafiosa. Martoglio è stato stritolato da una macchina infernale prima e dopo la morte. Certe grandi personalità catanesi che tramano nell’ombra mentre Martoglio agonizza per molte ore senza che nessuno gli presti soccorso, le ritroveremo tre anni dopo, pesantemente invischiate nel delitto del leader socialista Giacomo Matteotti”.

Morte banale o banalizzazione della morte?

“Non c’è un solo elemento che dimostra la caduta accidentale nella tromba dell’ascensore dell’ospedale Vittorio Emanuele (come dissero gli inquirenti archiviando il caso), ce ne sono fin troppi che depongono per l’assassinio. Solo la politica può ordinare di depistare e di insabbiare la morte di un personaggio celebre come Martoglio. Ovviamente con l’obbedienza di magistrati, di funzionari di polizia, di intellettuali e di giornalisti. Quando tutto questo riesce in modo così perfetto per oltre un secolo, vuol dire che a mobilitarsi è il ‘sistema’. Prima, durante e dopo”.

Può spiegare meglio il ruolo dei potenti?

“Hanno cospirato nell’ombra senza che nessun investigatore intaccasse la loro rispettabilità. Eppure erano lì, a un passo dal cadavere. Ecco perché il sottotitolo: ‘Un misfatto di Stato alla vigilia del fascismo”.

Chi sono?

“Nel libro vengono indicati uno per uno. C’è chi era fortemente colluso con la mafia e chi col fascismo, ma gli uni e gli altri trovarono il punto di convergenza nella morte di Martoglio”.

Un caso simile a quello del giornalista e scrittore Giuseppe Fava, ucciso sessant’anni dopo dalla mafia, dal potere politico ed economico?

“Sullo sfondo una città cannibale, Catania, e soprattutto un odio viscerale da parte del potere corrotto e colluso che viene denunciato e ridicolizzato da due grandi intellettuali liberi”.

Barbara Contrafatto