“Pronto, sei Gino Astorina?”. “Sì certo, tu chi sei?”. “Sono Luciano Mirone, ci siamo conosciuti una quindicina di anni fa al Lennon Festival di Belpasso, eravamo seduti vicini, ospiti della serata, abbiamo parlato di un sacco di cose”. “Sì, certo. Come stai?”. “Ti disturbo perché mi piacerebbe che il primo presentatore del mio nuovo libro, che parla della morte di Nino Martoglio, fossi tu. Vieni a presentarlo?”.

“Guarda che fatalità! Con la compagnia sto provando proprio un’opera di Martoglio, Il marchese di Ruvolito. Verrò senz’altro”.

“Ah, la commedia che Nino scrisse un anno prima della sua morte (1921)?”. “Esattamente.  Fra pochi giorni debuttiamo al Musco di Catania. Avvicina una di queste mattine al Gatto blu e parliamo della presentazione”.

Il gatto blu è il quartier generale (ubicato nel cuore della Catania antica, fra l’arcivescovado e il teatro Bellini) di questo attore poliedrico che da trent’anni fa cabaret, teatro di prosa, televisione e cinema ad alti livelli (basti dire che ha recitato al fianco di Ficarra e Picone). Da qualche tempo ottiene lusinghieri successi e riconoscimenti anche come scrittore (ha vinto il Premio Martoglio) come scrittore. Un intellettuale che della spontaneità e della cultura ha fatto un’arte.

Gino è un ragazzone. Umile, simpatico e alla mano, col quale è un piacere parlare. Il punto centrale del nostro incontro è Martoglio, soprattutto la sua morte, causata, secondo le indagini dell’epoca, da una caduta accidentale nella tromba dell’ascensore dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania, una versione ripetuta per cento anni, fino alla noia, da molti storici che non si sono posti il problema dell’omicidio.

“Chi doveva dirlo! Tu scrivi un libro su Martoglio e chiedi di presentarlo ad una persona che sta preparando l’ultima commedia dell’artista. Una coincidenza pazzesca”. L’unica?

Cominciamo a parlare. “Tu credi davvero che lo abbiano ammazzato?”, domanda. “Non c’è un solo elemento che depone per la caduta accidentale, ce ne sono fin troppi che portano all’assassinio”. “Perché avrebbero dovuto ammazzarlo? In fondo era un commediografo, faceva ridere”. “Era un intellettuale troppo scomodo. Con suo giornale satirico, il D’Artagnan, aveva raso al suolo un sistema corrotto che a Catania, per secoli, aveva fatto il bello e il cattivo tempo, col teatro e col cinema si scagliava contro la guerra, le ingiustizie, la povertà. Martoglio faceva politica attraverso l’arte ed aveva capito che grande arma di persuasione di massa sono il grande schermo, il palcoscenico e la carta stampata. Contemporaneamente Mussolini studiava le stesse dinamiche”.

A un certo punto gli dico: “C’è un potente (non l’unico in questa vicenda) che potrebbe avere avuto un ruolo nel suo possibile omicidio: un deputato colluso con la mafia che aveva comprato il titolo di barone. Viveva in un sontuoso palazzo di via Etnea, di fronte all’Orto Botanico: secondo fonti autorevoli, pare che in quell’edificio nascondesse dei latitanti. Malgrado il suo coinvolgimento nel caso Martoglio, i magistrati lo tennero accuratamente fuori, così come successe per altra gente molto potente”.

A queste parole Gino ha un sussulto: “Non è possibile! Siamo di fronte ad un’altra incredibile coincidenza. Basta leggere la commedia: il personaggio principale è un nobile decaduto che vende il titolo nobiliare ai nuovi arricchiti che con cinismo scalano i vertici della società. Ebbene: il luogo centrale della commedia è il palazzo di via Etnea di fronte all’Orto Botanico, pieno di marmi, di parquet e di decorazioni. Una sovrapposizione della realtà con la finzione teatrale”.

E’ in quel momento che il mio pensiero corre a Pippo Fava (anche lui giornalista, uomo di teatro e di cinema) e alla sua opera rappresentata dal Teatro Stabile di Catania pochi giorni prima della sua morte, “Ultima violenza”, nella quale il fondatore de I Siciliani, parla (per primo) dell’alleanza fra mafia, politica, economia, terrorismo e P2.

Penso ancora, a distanza di quarant’anni, a quell’ultimo editoriale, “Gli invulnerabili”. E al contenuto profondo: anteprima de L’Ultima violenza a Catania. Sul palco vengono avanti i protagonisti. Viene avanti il politico che ha depredato la città. Applausi per l’attore che lo interpreta. Viene avanti il mafioso che ha ucciso decine di persone. Applausi anche per lui. Clap clap. Viene avanti l’avvocato Bellocampo, uno splendido Turi Ferro, che ha difeso le cause di questa gente. Ovazione. In ultimo viene avanti il cavaliere del lavoro colluso che si è aggiudicato appalti in tutto il mondo. Scroscio di mani anche per lui, mentre in sala applaude il vero cavaliere del lavoro che ormai è convinto di essere invulnerabile. Un pezzo che solo i veri intellettuali possono fare, beffardo, ironico, vero.

Alla fine della chiacchierata, Gino mi invita a teatro. Al Musco ricevo un’accoglienza bellissima. Il protagonista della commedia mi presenta i componenti della compagnia, da Turi Giordano (grande culture di Martoglio) a Francesca Agate, da Alfio Belfiore a David Cannavò, e poi Lucia Debora Chiaia, Fabio Costanzo, Barbara Gutkowski, Eleonora Musumeci, Eduardo Saitta, Katy Saitta, Salvo Saitta, e Aldo Toscano. Parliamo un po’ nei camerini, poi mi fa accomodare per assistere allo spettacolo.

Mentre guardo la commedia (straordinaria la recitazione di tutti, ben diretti dal regista Antonello Capodici, ma lasciatemi dire che quella di Astorina è strepitosa) penso alle parole pronunciate dagli attori al processo per l’omicidio Fava: “Quella sera, dietro le quinte de L’Ultima violenza, c’era una tensione pazzesca”.

La stessa, probabilmente, che si dovette provare la compagnia di Angelo Musco nel dicembre 1920, dietro le quinte del “Marchese di Ruvolito”, quando Martoglio, attraverso la descrizione di quel palazzo di fronte all’Orto Botanico, dove probabilmente era stato occultato qualche latitante, fece il ritratto dell’onorevole che un anno dopo, all’interno del Vittorio Emanuele, si sarebbe ritrovato davanti come presidente dell’ospedale per un colloquio pieno di tensione mai ricostruito fedelmente dagli inquirenti.

Qualcuno, dopo questa commedia, ha commentato:  “Con Il Marchese di Ruvolito, Martoglio ha firmato la sua condanna a morte”. Non sono d’accordo. Il Marchese di Ruvolito, come L’Ultima violenza, raccontano la tempra di due intellettuali liberi che in una città abituata ad avere un rapporto perverso col potere sono visti con odio da chi ordina omicidi, insabbiamenti e mistificazioni. Ieri come oggi.

Post scriptum. Oggi Martoglio e Fava si incontrano nuovamente. L’occasione è data dalla presentazione del mio libro nel bellissimo paese del giornalista ucciso il 5 gennaio 1984: Palazzolo Acreide. Un’altra coincidenza?

Nella foto: Gino Astorina ne “Il marchese di Ruvolito”

Luciano Mirone