Vi è mai capitato di parlare con un fantasma? A me sì. Anzi, più che un fantasma si tratta di un’entità astratta, un’anima, un’energia, che non vedi ma è presente, ti consiglia, ti sconsiglia, ti indica certe strade e ti guida. Il “mio” fantasma è quello di Nino Martoglio, grande figura di artista vissuto fra la fine dell’Ottocento e i primi vent’anni del Novecento, celebre anche oggi per i successi ottenuti come commediografo, regista teatrale e cinematografico, giornalista e poeta. Basti pensare che è stato maestro di palcoscenico di Luigi Pirandello ed ispiratore, secondo grandi critici (uno fra tutti, Umberto Barbaro) del meraviglioso neorealismo di Visconti, De Sica e Rossellini.  

La copertina del libro “Il Caso Martoglio”. Sopra: l’artista in un ritratto fotografico gentilmente concesso dal Museo Biblioteca dell’Attore di Genova

A lui ho dedicato il mio ultimo libro uscito pochi giorni fa, “Il Caso Martoglio” (titolo). “Un misfatto di Stato alla vigilia del fascismo” (sottotitolo), nonché un lungo documentario realizzato assieme al regista Fabio Fagone (con la partecipazione straordinaria di Leo Gullotta), che uscirà, si spera, entro la fine dell’anno.

Uno “scherzo” causato dalla suggestione? Può darsi. Fatto sta che negli ultimi quattro anni (il tempo impiegato per realizzare questi lavori), con questa entità ho convissuto giorno e notte. Gli ex dipendenti dell’ormai dismesso ospedale Vittorio Emanuele di Catania giurano che in certe notti di luna piena, il fantasma di Martoglio si materializza e si aggira fra le stanze e il corridoio, con un cappello a falde larghe e con un mantello nero nel padiglione pediatrico Costanza Gravina, dove la sera del 15 settembre 1921 Nino sparì improvvisamente dopo avere ricoverato il figlioletto di undici anni, e la mattina successiva venne ritrovato, probabilmente ancora vivo (ma secondo l’indagine ufficiale ormai cadavere), in un pozzo luce definito impropriamente “tromba di ascensore”.

Quante balle propalate dal potere ed entrate nella fantasia popolare. Quante… Secondo  l’indagine di allora il commediografo, aprendo la porta dell’ascensore e non trovando il mezzo meccanico, mise il piede nel vuoto e si sfracellò da chissà quale piano, trovando morte “immediata” e casuale. Balle pazzesche gonfiate a dismisura – non si capisce perché – da diversi storici anche autorevoli di oggi (a cominciare dal professor Santi Correnti), senza lo straccio di una prova. Nel libro c’è l’immaginabile ed anche inimmaginabile.

La verità è che nel luogo del ritrovamento non c’era né una “tromba”, né tanto meno un “ascensore”, c’era soltanto questo pozzo luce attorniato da quattro pareti non coperte dal tetto. Sul pavimento, quella mattina del 16 settembre, fu rinvenuto il corpo di Martoglio (elegante, con doppio petto grigio, paglietta e bastone di passeggio), la cui identità, per tutto il giorno, fu scambiata con quella di un cocchiere affetto da gravissima sifilide ricoverato da tre anni al Vittorio Emanuele, che a stento si reggeva in piedi, indossava il pigiama e per tutto il giorno se ne stava ritirato nel suo reparto.

Giuseppe Fava

Balle di tutti i colori e di tutte le dimensioni. Come quelle raccontate dopo i delitti Fava, Pasolini, Rostagno, Spampinato ed altre vittime dei “poteri forti”, che in vita avevano avuto il “torto” di essere stati troppo scomodi ad potere troppo corrotto e troppo autoritario.

Non ci crederete, ma l’insabbiamento che seguì la morte di Martoglio supera tutti gli altri per la totale mancanza di senso del ridicolo dei politici, degli inquirenti e dei giornalisti, troppo cialtroni per rendersene conto, troppo sicuri dell’impunità garantita dall’alto.  

Secondo alcuni ex dipendenti, quello di Martoglio non è l’unico fantasma del “Vittorio”: “Ce ne sono tanti altri e affollano gli antichi ospedali di Catania: ombre che si materializzano la sera, si dibattono e non trovano pace. Sono le anime dei ‘non destinati’ strappati prematuramente alla vita da una morte violenta, in alcuni casi per omicidio, in altri per malasanità. Sono anime talmente attaccate alla vita che non riescono ad ascendere al cielo, non si rassegnano e si dannano per le ingiustizie subite”.

Discorsi da fare accapponare la pelle anche alle persone più scettiche. Se poi consideriamo che un giorno, quando siamo entrati in ospedale per girare le immagini, improvvisamente una “certa” finestra (quella della stanza dove era ricoverato il figlio), giuro: solo quella!, ha cominciato a sbattere violentemente (però onestamente, c’era troppo vento quel giorno), possiamo farci l’idea del clima che da un secolo attornia questo caso.

Non credo ai fantasmi descritti dalla letteratura. Ma nell’esperienza con Martoglio confesso di essere entrato in “contatto” con lui attraverso le emozioni che hanno invaso la mia mente, il mio cuore, il mio corpo, il mio spirito.

Quando pensi ad una persona morta con l’intensità con la quale io, per quattro anni, ho immaginato Martoglio, inevitabilmente entri in contatto con “qualcosa” che non riesci a definire: se è l’inconscio a proiettare dentro di te un’idea o se questa si trova extra homine sotto forma di “qualcosa”, io sinceramente non lo so, ma attraverso questa esperienza ho capito perché un tempo, in Sicilia, il 2 novembre, c’era la bellissima abitudine di far trovare i regali dei “morti” ai bambini: era un modo per creare un “contatto” fra vivi e morti, un segno di luce, di amore, di vita.

Non so come spiegare, ma so che sono stati anni pazzeschi che mi hanno portato – come è successo per gli altri casi di cui in passato mi sono occupato – a cercare la verità dappertutto (e quando dico “dappertutto” dovete crederci).

Avete presente il cane da caccia che attraverso l’olfatto cerca la preda? In questi anni mi sono sentito un cane da caccia alla ricerca della verità. Il cane da caccia, però, la preda non la trova subito: annusa la terra e l’aria, abbassa la testa, sbruffa, gioisce, scava, gira attorno alla tana, si allontana, torna. A guidarlo è il naso, ma a dirigerlo è il cacciatore.

Ad ogni modo, a prescindere dall’esistenza del fantasma o di qualcos’altro, spero solo che questo libro sia riuscito a squarciare il velo di falsità che per cento anni ha nascosto una verità nascosta anche alla storia. Spero che l’anima di Martoglio trovi finalmente pace.

Luciano Mirone