Scuola: anno nuovo problemi vecchi? Le difficoltà sono note a tutti: facili le soluzioni? Per niente! I problemi rimangono sempre gli stessi, quelli cioè che ogni anno si dichiara di volere eliminare. Nel mondo della scuola pare che l’impresa sia impossibile. Con puntualità, malgrado i buoni auspici proclamati ai quattro venti, ricompaiono i cronici ritardi nelle nomine del personale supplente, perché prodotti da un sistema rigido, che risulta refrattario alle accelerazioni.

Così, a settembre, al suono della prima campanella, non tutte le classi hanno la garanzia del miglior inizio possibile. Al Nord è peggio che al Sud. Le nomine iniziano tardi (appunto a settembre) e vanno a rilento perché il gioco dell’assegnazione delle cattedre residuate, dopo i movimenti estivi del personale di ruolo, ha le sue regole di garanzia che occorre rispettare.

Inoltre, gli aspiranti supplenti sono pescati dalle graduatorie provinciali e, per ultimo, dalle Mad (aspiranti docenti a disposizione). Gli uffici scolastici nominano spesso solo sulle cattedre vacanti in organico di diritto; su quelle di fatto, invece, conclusasi la fase precedente, sono i dirigenti scolastici a mobilitarsi, di solito a scuola iniziata tra numerose difficoltà. Scorrono le graduatorie di migliaia di docenti in elenco, rispettando scrupolosamente la posizione, con il supporto di segreterie in sofferenza per l’organico da completare e formare. Per ogni posto, tutti devono essere interpellati, a incominciare dal primo in graduatoria. Acquisita l’indisponibilità, si convocano gli aspiranti che seguono fino a trovare il docente che accetta la cattedra.

Capita che a volte passano giorni per poi ritrovarsi al punto di partenza con la graduatoria esaurita e il posto da coprire. Per ogni disciplina, pertanto, la corsa al docente può durare parecchio, perché le graduatorie sono numerose quanto le cattedre. Ciò in ogni ordine, anche se, nella scuola dell’Infanzia e nella Primaria le procedure, sebbene simili a quelle seguite per l’individuazione del personale nelle secondarie di primo e secondo grado, sono un po’ più snelle.

Il risultato è una scuola che ogni anno si avvia lentamente, con orario ridotto, in attesa del completamento dei ranghi tra i docenti e il personale ATA. Ovviamente, nelle nomine il merito non ha alcun peso. Si sceglie in base alla posizione acquisita con il punteggio derivante dai titoli di studio e professionali dichiarati. I dirigenti sono costretti a osservare scrupolosamente le graduatorie per evitare denunce. Paradossalmente, chi è responsabile del risultato in una istituzione scolastica (il preside) non può formare la squadra per conseguire gli obiettivi declinati nel PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) e assegnati a ogni dirigente dal direttore dell’ufficio scolastico regionale.

Succede puntualmente che sia il personale a scegliere la scuola e non viceversa, senza distinzione di tempo determinato e indeterminato. Così, ogni anno, la squadra si rinnova per iniziativa dei lavoratori e non in base alle esigenze dell’offerta formativa. Il risultato è una deficitaria continuità didattica, accompagnata da alcune croniche incompetenze che si fatica poi a mascherare. Ciò non concorre sicuramente a fare “la buona scuola”.

A dire il vero, il governo Renzi, nel non lontano 2015, con la legge 107, per la quale ha rischiato il  linciaggio da parte di tutto il personale scolastico, ha cercato di metterci una pezza. É stato così introdotto, per una brevissima stagione, il principio di individuazione e scelta da parte del dirigente scolastico di una piccolissima parte del personale docente dell’organico funzionale, in relazione alle esigenze formative, sulla base di candidature presentate dagli stessi docenti interessati.

La sollevazione generale di quasi tutto il personale contro un potere ritenuto dispotico e pericoloso spinse i sindacati a mobilitarsi contro una riforma che ebbe la durata di un’effimera primavera.

Una questione a parte, che fortunatamente incide poco sulle motivazioni individuali, è quella degli stipendi che restano lontani dagli standard dell’Unione europea. É auspicabile, durante la stagione dei rinnovi contrattuali, adeguarli alle medie retributive europee, per conferire il giusto compenso a una categoria di lavoratori statali importante e sottovalutata.

Ed è altrettanto urgente investire senza ulteriori rinvii nell’edilizia scolastica per motivi di sicurezza e di decoro. Eppure, pur con questi limiti sistemici, la scuola resta viva. La sua importanza di istituzione, baluardo dello Stato, soprattutto nelle aree più a rischio socio-ambientali, è indiscussa e riconosciuta da tutti i cittadini, perché garantisce l’istruzione gratis e di qualità nel primo ciclo (Infanzia, Primaria), per diventare leggermente onerosa nella secondaria inferiore (ex scuola media), nel secondo ciclo e all’università.

Province e comuni si occupano della qualità degli edifici di cui sono proprietari; lo Stato paga il personale e finanzia buona parte dell’offerta formativa. Gli esiti per gli alunni della scuola Primaria, specialmente a Nord, dove si opera prevalentemente col tempo pieno, risultano generalmente accettabili; soddisfacente è anche il livello degli studenti liceali, classico e scientifico, in uscita.

Lo attesta la percentuale del successo all’università e il grado di competitività dei nostri giovani messi a confronto con i pari età di altri paesi. La scuola secondaria di primo grado (ex scuola media inferiore), invece, rimane il tallone d’Achille dell’intero sistema formativo con alti tassi di dispersione. Notevoli passi sono stati fatti anche nella modernizzazione delle metodiche di insegnamento. Oggi la didattica si avvale sempre più spesso delle attrezzature mediatiche. La strumentazione in quasi tutte le scuole della Repubblica risulta adeguata, poiché rinnovata con risorse comunitarie, statali, comunali e private. Anche i docenti più refrattari si adattano lentamente alle novità. La legislazione per la gestione dei bisogni formativi speciali (BES) e degli alunni disabili appare sempre meglio metabolizzata. La continua formazione a cui è indirizzato tutto il personale docente, di ruolo e non di ruolo, incomincia a dare buoni risultati. In conclusione, anno nuovo e problemi vecchi certamente. Ma la scuola di oggi appare più adeguata a fronteggiare le nuove sfide.

Nino Pulvirenti