Orazio Fusto è un ragazzo di 19 anni, vive a Paternò (Catania) e qualche tempo fa si è innamorato di una tradizione antichissima della quale non riesce assolutamente a fare a meno: quella del cantastorie. Una tradizione lontana (specie per i ragazzi della sua generazione), eppure inscindibile dalla cultura della sua Sicilia. Orazio è rimasto incantato dalla metrica, dalla melodia e dalle storie intriganti che tanti secoli fa furono portate in questo lembo di Sicilia dagli aedi greci, antichi cantori di storie, arrivati in terra di Trinacria per raccontare la guerra di Troia e le gesta di Ulisse, di Polifemo e di tanti eroi che fanno parte del mito.

E così ha deciso di continuare un’arte che un degno erede degli aedi, il suo concittadino Ciccio Busacca, ha fatto amare in Italia e all’estero fra gli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso, addirittura esibendosi accanto al grande Dario Fo.

Orazio dapprima ha proposto le storie di chi lo ha preceduto, poi ha cominciato a scrivere vicende più recenti riscuotendo apprezzamenti da parte di un pubblico sempre più vasto. 

Orazio, perché questa passione?

“Mi sono appassionato a quest’arte quando mio padre mi comprò un dvd sulla storia del bandito Giuliano raccontata da Ciccio Busacca: fui colpito dalla metrica, dall’intonazione usata e dal modo di esprimersi di questo artista, pertanto cominciai a studiare il genere ampliando la mia ricerca anche di altri cantastorie”.

A che età hai iniziato?

“A 9 anni, a 10 anni ho calcato il primo palcoscenico in piazza Sant’Antonio a Paternò”.

Paternò ha una grande tradizione di cantastorie, appunto Ciccio Busacca, seguito dal fratello Nino, e tanti altri. Come vivi questa realtà?

“La vedo come un punto a mio favore, perché essendo una tradizione particolarmente paternese fa parte di me, la sento molto vicina per questo motivo quando imbraccio la chitarra per raccontare una storia lo faccio con enorme spontaneità”.

Quanti pezzi hai raccontato?

“Quasi tutti i grandi classici dei cantastorie”.

Perché hai sentito la necessità di raccontare le “tue” storie?

“Per un bisogno dell’anima: la storia di Peppino Impastato, la ballata contro la violenza sulle donne, la storia di Santa Barbara e una ballata sulla Sicilia intitolata Conca d’oru. Nelle storie che scrivo cerco di conferire una marcata impronta di denuncia sociale in modo da dare il mio contributo per far crescere le coscienze”.

Cosa ami della tua terra e cosa invece non condividi?

“Considero la mia terra ‘un pezzo di paradiso’. Amo tutto della Sicilia, i sapori, gli odori soprattutto quello della zagara, i luoghi che hanno forte valore culturale e le persone che la abitano, persone tanto semplici quanto vere. Considero però l’altra faccia della medaglia, come viene amministrata e la gentaglia che di questa terra ha fatto un campo di battaglia”

Perché hai voluto trattare il tema della violenza sulle donne?

“Perché ho sempre pensato che la violenza in generale sia abominevole e, in modo particolare, quando viene perpetrata contro le donne. La considero terribile, si tratta di una tematica di forte attualità, della quale ho sentito l’esigenza di dire la mia e col mio stile”

Come vedi la poesia di oggi?

“Le generazioni cambiano e con esse il modo di esprimersi in ogni campo poetico ed artistico ed è giusto che sia così, anche se mi sento molto tradizionalista, so apprezzare ogni forma poetica perché considero la poesia l’unico modo di esprimere i sentimenti in modo puro e spontaneo”.

Nella foto: il cantastorie Orazio Fusto mentre racconta la vicenda di Peppino Impastato

Arcangelo Gabriele Signorello