Reduce dalla prestigiosa presentazione al Salone del libro di Torino, esce nelle librerie italiane il nuovo libro curato da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla, “Federico De Roberto, Ernesta Valle. Parole d’amore e di letteratura” (La Nave di Teseo), con il quale i due famosi studiosi e saggisti catanesi, attraverso le lettere (centinaia in questo volume, come è successo nelle pubblicazioni precedenti su Pirandello, Patti, Martoglio, Musco, Giovanni Grasso e tanti altri), raccontano la storia d’amore intensa e passionale tra lo scrittore ed Ernesta Valle.

Ne esce fuori un affresco delicato che, oltre a descrivere il forte temperamento dei protagonisti, delinea un’epoca – quella fra Ottocento e Novecento – in cui De Roberto è impegnato nella stesura di uno dei più grandi capolavori della letteratura italiana (e non solo), I Viceré, che Leonardo Sciascia definisce il più importante romanzo dopo I promessi sposi, una frase messa in discussione, giustamente (almeno secondo noi), dagli autori che nella prefazione si chiedono: perché “dopo” e non “insieme”? La domanda viene posta in punta di piedi, con discrezione, dato che si tratta di un volume su un carteggio epistolare, ma è un quesito che stuzzica la nostra fantasia e che pone inevitabilmente altri interrogativi sulla “questione derobertiana”: perché I Vicerè non ebbe la stessa fortuna de Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che sembra ispirarsi allo straordinario romanzo di De Roberto? Ai critici  letterari l’ardua sentenza. Quello che segue è un estratto della prefazione del libro di Sarah Zappulla Muscarà e di Enzo Zappulla (l.m.).

La copertina del libro “Federico De Roberto, Ernesta Valle. Parole d’amore e di letteratura” (La Nave di Teseo), curato da Sarah Zappulla Muscarà ed Enzo Zappulla. Sopra: gli autori del volume

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In treno, cominciai a scriverti. Scrissi col lapis queste righe che ricopio: “Voglio cominciare a scriverti a Milano: sono ancora alla stazione. Scrivo con la matita, tenendo in mano un quadernetto di carta; ricopierò stasera, a bordo.

Respiro ancora la stessa aria che tu respiri, vedo ancora lo stesso cielo che tu vedi. E sono proprio io che parto? Io ti lascio? È incredibile! Finora mi sono mosso come in sogno, spinto da quella forza interiore della quale ieri ti parlavo: ora ricomincio ad avere coscienza di ciò che faccio. Il treno indietreggia, quasi voglia significarmi che non debbo andar via, quasi non voglia portarmi via…” Non potei scrivere di più. Il treno indietreggiò, una seconda volta prima di mettersi in movimento, alle 3 e 35 precise, con 10 minuti di ritardo. Dal ponte di Loreto mandai un saluto verso il corso di Venezia, lungo il quale fummo insieme il giorno prima, ed al viale dove cercammo insieme una casa per te. Vidi ancora il Duomo da lontano, la guglia della Madonnina, che ricorda tante cose.

Così Federico De Roberto scriveva, il 6 ottobre del 1897, in una lunga lettera alla donna amata dal piroscafo “Birmania” durante la traversata che da Genova doveva portarlo a Catania, dopo la permanenza nel capoluogo lombardo di circa cinque mesi.

Era partito per Milano il 5 maggio, in occasione della pubblicazione del romanzo Spasimo, che vede la luce in volume nel giugno, per i tipi dell’editore Galli, lo stesso de I Vicerè, “il più grande romanzo che conti la letteratura italiana, dopo I promessi sposi”, con Leonardo Sciascia. Ma perché ‘dopo’, meglio ‘insieme a’.

Federico De Roberto conosce Ernesta Valle, di cui s’invaghisce subito, il 29 maggio 1897, nel salotto di casa Borromeo: “Comincia la vita nuova” annota in una sorta di “Calendario” amoroso con chiara allusione dantesca. “Da quel giorno, voglio dire da quella sera cominciò la mia felicità!” (Milano, 24 settembre 1897), all’insegna della musica, come rievoca il 29 luglio 1899 da Catania:

L’altro ieri, come ti dissi, pranzammo da Lisa: noi due e loro due: sul tardi venne un fratello di Lisa. Pranzammo sulla terrazza, sotto il cielo stellato, dinanzi al verde scuro delle piante: tu eri con me. Dopo pranzo, quando il fratello di Lisa si mise al pianoforte, io gli feci suonare la Nona sinfonia di Beethoven, quella musica della quale ero pieno quando ti conobbi: “Gioia, figlia della luce!…” e mi parve di rivivere i primi giorni dell’amor nostro.

Federico De Roberto

 

Il corposo carteggio bilaterale fra l’illustre scrittore e la nobildonna Ernesta Valle, moglie dell’avvocato messinese Guido Ribera, copre un arco di tempo che va dal 31 maggio 1897 al 18 novembre 1903 (con sporadiche tracce successive che si protraggono fino al 1916), in un intricato, pertinace intreccio di temi intimi e letterari. Un’ardente storia d’amore che ci rivela aspetti ignorati dell’austero e schivo scrittore e insieme della vita mondana, sociale, culturale dei due poli fra cui si snoda, Milano e Catania, dalla fine dell’Ottocento ai primi del Novecento.