“Se vuoi conoscere un territorio devi affidarti alle sue dolcezze, ossia, alle sue pasticcerie e donne. La conoscenza di entrambe ti permetterà di comprendere quanto meno alcuni aspetti della comunità locale perché il cibo e le donne, rappresentano in tutte le civiltà un biglietto d’ingresso dalla porta principale”.

Così mi aveva suggerito un maestro di vita conosciuto a Padova nel ristorante Alle Magnolie in Via Nazareth dove per mantenermi mi dedicavo con piacere al lavoro, come tanti giovani fuori sede, il sabato e la domenica sera, vestito da pinguino con tanto di papillon nero, durante gli anni creativi, infernali ed irripetibili dell’università.

Un cliente distinto di media età, maturo e navigato, che preferiva farsi servire da me perché per un’innata empatia reciproca. Gli piaceva conversare quando gli confessai che amavo assai degustare i vini che i clienti lasciano nelle bottiglie, assaggiare ogni sorta di dolci senza pregiudizio e che altrettanto mi sarebbe piaciuto “sperimentare relazioni con donne diverse” per nazionalità, lingua, cibo, costumi, religione, colore della pelle, degli occhi, dei capelli e quant’altro le rendeva attraenti, affascinanti, uniche e rappresentative del luogo, ai miei occhi, ovviamente.

Ed è con questo presupposto che un giorno non lontano, proposi ai miei amici Vito e Riccardo di accompagnarmi lungo un itinerario che ci avrebbe portato a visitare le pasticcerie più rinomate di Corleone, Castelvetrano e Campobello di Mazara.

I luoghi di origine “du Curtu e du Siccu”, alla ricerca delle delizie e delle bellezze; le prime opera dell’uomo, le seconde della natura, che sicuramente hanno movimentato ed arricchito la vita avventurosa du Siccu.

E così, di primo mattino, ci siamo messi in viaggio a bordo di una irriconoscibile ed anonima Toyota di colore rosso sgargiante, lasciandoci alle spalle la ridente cittadina di Belpasso, scendendo lungo i tornanti addobbati dalle numerose discariche di spazzatura dimenticata, ahimé,  dagli smemorati abitanti del luogo.

Strade invase lungo i lati anche dai rovi infestanti e dalla vegetazione varia e selvaggia che cercava disperatamente di riappropriarsi della pavimentazione stradale, sconnessa e increspata come un mare in tempesta.

E noi sobbalzavamo come una carretta stracolma di migranti nel mare Mediterraneo sino a quando, imboccata l’autostrada Catania–Palermo l’abbiamo percorsa oltre la costa terminese per poi puntare dritto verso la culla dei Corleonesi che certamente non verranno ricordati come “I Giusti”: Lo Bue, Di Carlo, Navarra, Liggio, Ciancimino, Riina, Provenzano, Bagarella

L’ARRIVO A CORLEONE. In Piazza Falcone e Borsellino, a Corleone, di fronte la Caserma dei Carabinieri, abbiamo incontrato la prima giovane donna, Caterina, bruna e sensuale, capelli neri e lunghi, occhi chiari, solare, aperta ed ironica, che alla domanda “cosa fai come lavoro”, ha risposto, “cerco il lavoro” e che aveva deciso di non indicare più nel suo CV il luogo di residenza, Corleone, perché ormai la penalizzava.

Più avanti, nella più nota e storica pasticceria locale “Dolceria Vincenzo Iannazzo” in Piazza Nascé, accolti con molta cordialità dal titolare, abbiamo potuto assaggiare dei buoni cannoli di ricotta e degustare un liquore di produzione propria, “Il Padrino”.

E, quando, congedandoci gli abbiamo chiesto “perché Corleone è considerato un paese mafioso” ci ha risposto che “la mafia la dobbiamo cercare altrove, nelle istituzioni, nei parlamenti nazionale e regionale, perché è impensabile che cittadini come i famigerati corleonesi sarebbero stati in grado da soli di fare quello che si racconta e si legge”.

Ed, infatti mi sono ricordato che Vito Ciancimino, noto corleonese, trasferitosi a Palermo, per poi guidarne il “sacco” immobiliare della città negli anni ’60, prima da assessore ai lavori pubblici durante la sindacatura di Salvo Lima e dopo da Sindaco, sempre eletto nelle liste della Democrazia Cristiana, “per un breve periodo soggiornò a Roma, dove lavorò presso la segreteria del deputato democristiano Bernardo Mattarella (allora sottosegretario al Ministero dei trasporti), padre dell’attuale Presidente della Repubblica.

Percorrendo la Via Bentivegna mi ha colpito una frase scritta sotto un lungo murale, tratta da una canzone di Giorgio Gaber: “ La Libertà non è uno spazio libero ma Libertà è partecipazione”.

CASTELVETRANO, FEUDO DU SICCU. Abbiamo lasciato il solleone di Corleone alla volta di Castelvetrano, feudo, du Siccu seguendo stradine tortuose di campagna dove i terreni tutti coltivati e di un verde intenso, facevano a gara con il cielo limpido ed azzurro per mettere in evidenza la sequenza alternata delle alte torri bianche eoliche e le rocce marrone-giallo che magicamente emergevano dall’orizzonte, stratificate e logorate dal vento e forse molti milioni di anni fa anche dalle acque marine.

Contessa Entellina, un mistero nel suo attraversamento, tante case a schiera e villette, linde ed ordinate, tante auto nuove parcheggiate in strada ma nessuna persona o animale in giro, come accade di vedere in alcuni centri abitati, apparentemente disabitati, del Veneto più profondo e laborioso.

E dopo un lungo peregrinare e zizzagare attraverso i Comuni della Valle del Belice, siamo arrivati finalmente dove “Iddu cumanna”.

La prima impressione che ho avuto è come se fossi entrato a Treviglio, nella bassa bergamasca, a parte le palme onnipresenti e curate, in un territorio pulito nei marciapiedi, nelle strade e nelle piazze, ordinato nei parcheggi delimitati dalle strisce blu e nella manutenzione riguardosa del verde pubblico e privato, nella visibilità della segnaletica orizzontale e verticale, nel decoro dell’arredo urbano e delle vetrine dei negozi.

Tutto l’opposto di ciò che si vede, purtroppo, nel catanese e nel siracusano.

E grazie a Leonardino, emigrante di ritorno dopo una breve esperienza in Svizzera, che ci ha guidato alla ricerca della pasticceria più rinomata, abbiamo potuto assaggiare alcuni dei dolci più tipici di Castelvetrano a base di ricotta e crema, presso l’“Antica Pasticceria Siciliana” dove oltre alle delizie siciliane di pasta fresca si può trovare un grande assortimento di buona tavola calda ed anche l’angolo per l’aperitivo.

In passato, secondo Leonardino,  la pasticceria più frequentata era la vecchia “Buscaino”, quella che si trovava nel Corso, però, poi, secondo le male lingue,  “le eredi” non andavano d’accordo ed è diventata poco gestibile anche perché, nel frattempo, con l’apertura del centro commerciale molte attività sono state obbligate a chiudere ed a trasferirsi proprio nel centro commerciale, abbandonando il centro storico, come accade un po’ dappertutto.

ULTIMA TAPPA, CAMPOBELLO DI MAZARA.  Verso sera ci siamo trasferiti a Campobello di Mazara e senza volerlo, Angelo, ironico conoscitore del posto ci ha indicato la migliore pasticceria del paese, la “San Vito”, che guarda caso si trova quasi di fronte la casa du Siccu, Iddu.

All’ingresso della pasticceria che ha anche un’ampia terrasse all’aperto, ci ha accolto un lungo banco di paste fresche, un’esplosione multicolore e multisapore, da un lato, ed una serie di vetrine frigo che racchiudevano artistici semi freddi che manifestavano in tutta la loro rappresentazione la genialità dell’artigianato siciliano contaminato nei secoli dalla preziosità degli ingredienti e dei dolci dei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

Abbiamo preso posto nell’ampia sala e fra una cioccolata con panna, un the caldo alla mentuccia ed aperitivo analcolico agli agrumi, abbiamo consumato le ultime delizie prima di rimetterci in viaggio per il ritorno.

Durante la breve sosta abbiamo notato poche donne ai tavolini e più di qualcuno che ci guardava incuriosito, specie quando a parlare ero io o forse perché avevano capito che non eravamo del posto.

Ed allora è sorta spontanea la domanda: vuoi che Iddu non sia mai venuto qui a prendere un caffè o a comprare una “guantiera” di dolci per la sua amante di turno?

Così come andava nel piccolo supermercato sotto casa, all’angolo e non aveva mai attraversato la strada per “passarisi a ucca” con uno dei tanti peccati di gola che “scippavano l’occhi solu a vidilli”?

Avaia, Matteo, non ci credo, “cu tutti sti fimmini” che ti furriavanu  attorno, sciuri frischi, viagra, preservativi ed altri appositi congegni per migliorare le prestazioni sessuali, non mi dire che non avevi bisogno ogni tanto anche di farti una ricarica di zuccheri?

Sta di fatto che con l’eccellenza dell’investigazione che abbiamo, per trent’anni sei rimasto acquartierato lì, dove tutti ti cercavano e non ti trovavano, ma tu eri lì dove forse ti vedevano e non ti fermavano e magari ti offrivano un caffè accompagnato da un biscotto al burro e cacao.

Leggendo le pubblicazioni dei tuoi pizzini, però, non dico che tu farneticavi, deliravi, come hanno scritto certi giornalisti, credo, invece, che i tuoi pensieri siano comuni a tanti, tantissimi siciliani che conosco e che non vengono ricercati per fatti di mafia e che, anzi, molti di questi magari sono stati impegnati nella tua ricerca ed altri hanno costruito la loro immagine come professionisti dell’antimafia.

Non è che adesso, dopo il tuo arresto, bisogna mettere mano seriamente ad educare i siciliani anche quelli che si sentono già educati e civili, solo perché non sono stati mai inquisiti per mafia ma lo sarebbero in massa per mafiosità?

Se potessi darti un consiglio ti direi; fai i nomi di quella Sicilia di mezzo che il Capo della Procura di Palermo  De Lucia, definisce la “borghesia mafiosa” perché, sai, loro ragionano così: morto un papa se ne fa un altro e per noi è importante fare i nostri porci comodi, liberi senza che nessuno ci abbia mai cercato.

E tu, alla fine, che minchia di vita hai fatto, dopo che sei stato costretto a muoverti braccato, a comunicare con i pizzini con i tuoi cari, a fottere magari con chi ti avrebbe potuto tradire?

A non potere ammazzare, da impotente, il male che ora ti affligge perché non è un essere umano come i tanti che direttamente ed indirettamente hai assassinato o fatto assassinare, stando alle sentenze dei tribunali, ma una aberrante alterazione di un tuo organo che la natura ti ha donato ed alla quale prima o poi dobbiamo tutti rendere conto?

Enzo Victorio Bellia

Post scriptum: Tutti i nomi citati sono di pura fantasia così come di estrema fantasia è la firma dell’autore del racconto.