Il voto di domenica prossima assume un significato fondamentale per il futuro di questo Paese e della Sicilia. Si voterà sia per il rinnovo del Parlamento nazionale, sia per quello regionale, e anche se l’esito appare scontato a favore della destra, resta da capire quali saranno i nuovi assetti che saranno determinati dalle urne.

Nella destra Giorgia Meloni farà il pieno di consensi a scapito della Lega e di Berlusconi, il quale, malgrado i processi, le condanne e le accuse, continua a definirsi “moderato” e a definire “moderato” il suo partito, costruito a sua immagine e somiglianza, grazie al quale l’intero schieramento può che secondo lui dà una parvenza di “centro” all’intero schieramento.

Se il Movimento 5 Stelle non confermerà il 34 per cento delle scorse elezioni, supererà certamente la soglia del 10 auspicata dai vertici dopo la delusione (di molti militanti) per la partecipazione al Governo Draghi, e la successiva sfiducia firmata dai 5S (in questo caso la delusione è di chi, pur non essendo militante, ha guardato con simpatia il movimento fino a qualche mese fa).

Conte in campagna elettorale si è speso molto: ha spiegato i motivi della sfiducia e i risultati innegabili ottenuti dal suo precedente governo (ammessi oggi perfino da un berlusconiano di ferro come Giuliano Ferrara), che hanno fatto dimenticare (forse in parte) la rottura della coalizione dei Progressisti in Sicilia (altro errore attribuito al movimento), dopo la partecipazione alle primarie di coalizione da cui è uscita vincitrice Caterina Chinnici (Pd).

Non riusciamo a prevedere l’esito del duo Renzi-Calenda: è probabile che dopo il voto entrambi parleranno di vittoria, anche per la mancanza di risultati passati cui fare riferimento. Vedremo come si posizioneranno, con chi e che politica faranno, loro che si considerano i veri “moderati” del Parlamento italiano.

Altra incognita è il Pd, dato col vento in poppa fino a qualche settimana fa, oggi in apparente calo. La rottura con Conte (dato ormai per spacciato) voluta da Letta dopo la sfiducia dei 5S a Draghi, potrebbe danneggiare proprio il Partito democratico che evidentemente non ha compreso di essere risalito nei sondaggi degli ultimi anni grazie all’alleanza coi 5S che hanno puntato sulla questione morale.

Un concetto – quello della questione morale – che per associazione di idee ci porta direttamente alle elezioni siciliane. A causa della rottura fra Pd e 5S è probabile che nell’Isola vincerà il candidato della destra Renato Schifani (attualmente sotto inchiesta per una torbida storia legata al caso Montante), preferito al presidente uscente Nello Musumeci, considerato come il fumo negli occhi da molti esponenti della sua coalizione. I quali ripetono come un mantra di essersi giocati l’ex presidente della Regione per la scarsa propensione al dialogo, specie per le nomine di sottogoverno su cui – secondo la versione ufficiale – il fondatore di Diventerà bellissima non è mai riuscito a confrontarsi seriamente con tutti, nel senso che non avrebbe diviso come auspicavano i suoi alleati. Sarà… ma fonti interne alla coalizione dicono che Musumeci sia stato sacrificato sull’altare degli ingenti fondi del Pnrr, che fanno gola a diversi ambienti.  

Tutti a destra – pur non citando i soldi del Piano – dicono che “il candidato ideale per mantenere gli equilibri” è Renato Schifani, molti anni fa passato indenne da un’inchiesta giudiziaria relativa alla metanizzazione della città di Palermo (anche lì ingenti somme da “investire”). 

Intanto nelle ultime ventiquattro ore due candidati della destra all’Ars sono stati arrestati per corruzione (l’uno) e per voto di scambio (l’altro), mentre Schifani continua a dire che il suo schieramento, sulla legalità, non prende lezioni da nessuno.

Anche in Sicilia il Movimento 5 Stelle è dato in ripresa, non tanto per la candidatura alla presidenza della Regione di Nuccio Di Paola (non conosciutissimo ex capogruppo all’Assemblea regionale siciliana), quanto per la presenza di Conte, che ha battuto l’Isola in lungo e in largo.

Incognita Pd anche in Sicilia. Se fino al giorno prima della rottura coi 5S era dato il ascesa, dopo, il partito di Letta si è percepito meno (almeno questa è l’impressione). Causa certamente dello squarcio determinato dal Movimento fondato da Grillo, e dal conseguente indebolimento della coalizione che adesso marcia divisa contro una corazzata, il cui elettorato non vede di buon’occhio Schifani.

Anche in questo caso un’associazione di idee riassumibile in un concetto: il voto disgiunto. Sono molti, perlomeno in Sicilia orientale, sia elettori di destra sia progressisti (anche colti), a dirci che voteranno per il terzo incomodo, quel Cateno De Luca, ex sindaco di Messina (secondo costoro, nel capoluogo peloritano, “ha lavorato bene”, come nella vicina Santa Teresa Riva, dove è stato sindaco precedentemente, “cambiando – a parere di costoro – il volto del paese”), balzato agli onori delle cronache nel periodo del lockdown per quelle esternazioni un po’ ruspanti sui Social contro “la politica di destra e di sinistra”. Anche De Luca ha battuto da cima a fondo la Sicilia.

In questi giorni – sempre nella parte orientale dell’Isola – abbiamo fatto un mini sondaggio perfino fra i bambini: quando abbiamo nominato i diversi candidati presenti hanno risposto “non li conosciamo”, ma quando abbiamo accennato a Cateno (solo il nome) hanno detto: “Lui lo conosciamo”. E hanno sorriso. Sarà una nota di colore, ma  chissà se significa qualcosa.

Luciano Mirone