Se ne va un altro rappresentante della “dolce vita” di Taormina: Saro Carpita, straordinario interprete di un romanticismo antico che riusciva a coniugare l’impegno politico con l’amore per la propria città.

Chi non è di queste parti, probabilmente, non può capire. Parliamo di quella generazione di taorminesi che ha contribuito a fare grande la propria città, valorizzando le sue peculiarità e i suoi aspetti più belli in tutto il mondo.

Immaginate una spiaggia – la bellissima spiaggia di Letojanni, ad un tiro di schioppo da Taormina –  una moltitudine di ombrelloni , tanta gente che si divide fra la sabbia e il mare e su questa spiaggia c’è Saro Carpita.

A pochi metri c’è il sottoscritto assieme a un napoletano verace, Antonio Basile, sommelier: passiamo il tempo a parlare di Massimo Troisi, di cui Antonio conosce vita, morte e miracoli, essendo originario di San Giorgio a Cremano (stesso paese di Massimo) ed amico del fratello dell’attore. Ore e ore a parlare dell’autore del Postino che amiamo fin dai tempi della Smorfia.

Che c’entra tutto questo con Saro Carpita ? C’entra! A un certo punto la nostra discussione – non ricordo per quale associazione di idee – scivola sulla “bella epoque” taorminese, sulla quale in quel periodo sto scrivendo un libro.

È in quel momento che il destino agisce da par suo, “shakerando” i colori, le bellezze, i personaggi, le storie di due pezzi d’Italia – Napoli e Taormina – che hanno fatto impazzire persone di tutto il pianeta. 

Succede quando un signore sui settant’anni, stempiato e basso di statura, si alza dalla sdraio, comunica alla sua grande famiglia (la moglie Clara, le figlie Bruna e Giuseppina, il figlio Andrea, e tanti nipoti), “ragazzi scusare, ma io vado a farmi un bagno”. Mentre si avvia verso il bagnasciuga, Antonio lo intercetta: “Sarooo, ti posso presentare un amico? Capiti a fagiolo: proprio adesso abbiamo cominciato a parlare della Taormina dei tuoi tempi”.

Saro Carpita in spiaggia. Sopra: l’ex assessore nella sua casa di Taormina

La scintilla scocca subito. Adesso il “venticello” della discussione, da Napoli, attraversa il Sud, passa lo Stretto di Messina e “accarezza” quel pugno di case appollaiate sul monte Tauro che si scorge da qui: Taormina con il suo Teatro greco che domina il Golfo di Giardini e “guarda” l’invisibile costa greca che si staglia di fronte.

Come preso da grande ispirazione, Saro respira quel refolo, lo trattiene, lo inspira e comincia a parlare.

“Taormina non è un paese come gli altri. E’ una categoria dello spirito, è sospesa fra cielo e terra: solo gli artisti ne possono spiegare la vera essenza. Noi comuni mortali, tutt’al più, possiamo raccontarne le storie, i personaggi”.

Da lì a parlare dei “mitici” sindaci del passato il passo è breve: “Il più grande è stato Nicola Garipoli, medico condotto prestato alla politica, di cui mi sono onorato di essere stato assessore per tanti anni. Nicola ha fatto il sindaco come il buon padre di famiglia: riceveva tutti e per tutti aveva sempre la parola giusta, come quando faceva il medico: guardava un paziente negli occhi e gli diagnosticava il suo stato di salute. Quante missioni in giro per il mondo per pubblicizzare l’immagine di Taormina! Quante crociere! Quante risate assieme alle nostre mogli!”. E giù una serie di aneddoti sugli anni d’oro della “Perla dello Jonio”.

“Ma come dimenticare gli altri sindaci che hanno coniugato l’amore per la città con le loro capacità amministrative? Da Eugenio Longo ad Aurelio Turiano, fino ad Achille Conti, ma anche l’attuale, Mario Bolognari, è in gamba: un ex comunista col quale (io vecchio democristiano) in passato ho avuto alcune divergenze ideologiche, ma alla fine il punto di convergenza si trovava sempre: Taormina, sempre  e solo Taormina”.

“Anni ruggenti!”, esclama Saro. “Anni in cui Taormina ha conosciuto uno splendore ineguagliabile. Loro (mi riferisco a Garipoli, a Longo, a Turiano e a Conti), come me, avevano conosciuto la guerra, le privazioni, gli stenti di un borgo che durante il conflitto, attraverso la requisizione dell’hotel San Domenico, fu Alto comando tedesco. Quei sindaci furono bravi ad avviare la ricostruzione e a riportare la città agli antichi splendori”.  

Sia io che Antonio lo ascoltavamo a bocca aperta. “Ricordo le grandi serate al Casinò di Villa Mon Repos: allora ero agente della Siae. Andavo sempre. C’era Marlene Dietrich, Domenico Modugno, Peppino Di Capri, Robert Mitchum, Vittorio De Sica e tantissimi divi dello spettacolo. Ma il personaggio più pazzesco era il ‘patron’, Mimì Guarnaschelli, fondatore della struttura, sempre azzuffato con buona parte della politica nazionale e regionale: pensate che ogni sera brindava alla morte del sindaco di Taormina. Gliela fecero pagare chiudendo il locale. Certo, Guarnaschelli non spiccava per doti diplomatiche, ma la verità è che il Casinò di Taormina dava fastidio alle Case da gioco di Sanremo, di Campione d’Italia e di St. Vincent e allora si fece di tutto per farlo scomparire”.

Saro è un fiume in piena. A un certo punto il suo sguardo si posa su una villa bianca ubicata sul lungomare. Un edificio con le cupole mediterranee e le finestre azzurre: “In quella dimora soggiornò Greta Garbo – spiega -, ospite dell’antiquario Panarello. Allora da queste parti (erano gli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale) non c’era il turismo di massa di oggi, la Divina si celava sotto falso nome, indossava un fazzolettone in testa per non farsi riconoscere. Sapeste a quante feste ho partecipato assieme a mia moglie. Panarello ospitava un sacco di bella gente, Capi di Stato, industriali, star dello spettacolo: tutti entusiasti di vivere il sogno magico di quella Taormina”.

Saro Carpita con la moglie Clara

La signora Clara, dall’altro ombrellone, ascolta e di diverte a partecipare: “Non avete idea – dice – cos’era quella Taormina”. “Sono convinto – incalza Saro – che tornerà ad essere quella del Festival del cinema”. Non era una convinzione campata in aria: diversi politici di oggi (compreso l’attuale sindaco) si rivolgevano a lui per un consiglio. Lui riusciva a dispensare sempre parole sagge, come faceva ai tempi di Garipoli.    

Da quel giorno l’amicizia fra me e Saro – sono passati circa dieci anni – è diventata grande, si è nutrita di tante belle cose, anche perché nel frattempo quel libro su Taormina (“L’antiquario di Greta Garbo”) riuscivo a farlo pubblicare. Lui era entusiasta. Durante le nostre cene e gli impareggiabili cocktail sulla spiaggia fino alle due di notte non si faceva altro che parlare di tutti questi argomenti, ma soprattutto non si faceva altro che ridere.

Un paio di anni fa venne sotto il mio ombrellone e mi disse: “Sto facendo un romanzo, ho scritto centinaia di pagine, mi farebbe piacere conoscere il tuo parere”. Ne parlava con entusiasmo. Era un libro che stava completando.

A Natale ci siamo sentiti per i consueti auguri: “Il libro procede bene”. A Pasqua un’altra telefonata, ma stavolta il tono era diverso: “In vita mia ho lottato tantissimo contro le malattie e contro qualsiasi avversità. Sempre con una forza di volontà sovrumana. Adesso sono stanco”.

“Ma come, Saro, sul più bello? Sarà un momento di sconforto. Tieni duro, stringi i denti, vedrai che ce la farai anche stavolta. E poi bisogna presentare quel libro”. “Il libro è pronto”, mi rassicurò. Non immaginavo, due mesi dopo, di ricevere la notizia improvvisa della sua dipartita.  

“Ciao amico mio”, è la frase che sento di dirti, come facevi quando mi vedevi o mi sentivi. Caro Saro, quel libro, bisogna presentarlo al più presto.

Luciano Mirone