In fondo la festa per la promozione del Palermo può contribuire, così come la rinuncia di duecento presidenti di seggio nel giorno delle elezioni o le dolorose disfunzioni del cimitero dove molte bare non possono essere seppellite o i quartieri dormitorio dove a dieci anni si spaccia e a undici ci si prostituisce. 

Sì, tutto questo può contribuire a farlo dimenticare, come certi programmi spazzatura o certe trasmissioni d’inchiesta che lo ignorano, o come le classifiche del soleventiquattrore che ogni anno relegano Palermo all’ultimo posto come qualità della vita (di quale “qualità” e di quale “vita” non si capisce, e però nel frattempo i turisti hanno scoperto Palermo e l’Unesco l’ha proclamata Patrimonio dell’umanità: grazie a chi non si sa), ma intanto tutto deve far brodo per derubricare quel rompicoglioni di Orl… biiip… al livello di un sindaco di periferia, per condannarlo a fare la fine che merita, perché si è permesso di far cadere Andreotti, Craxi e tutto quel politicume della Prima Repubblica, e se non fosse stato per televisioni e giornali (compresi quelli “progressisti”), avrebbe fatto cadere rovinosamente anche il grande piduista amico dei mafiosi, che secondo i pentiti (la vicenda poi è stata archiviata) è stato ritenuto uno dei mandanti esterni della strage di Capaci.

No, non potevano ammazzarlo Orl… biiiiip…, in quel momento popolarissimo in Italia e all’estero: dopo la carneficina di Capaci e di via D’Amelio, sarebbe scoppiata la rivolta popolare. Dovevano fare una “operazione chirurgica” in perfetto stile gelliano. Isolarlo a Palermo. E condannarlo al suo esilio a Palazzo delle Aquile.

Però da Palermo non ci sono riusciti a cacciarlo: lì la gente ha capito sulla propria pelle cosa sono la mafia, la politica collusa, la P2, i servizi segreti deviati, ma ha soprattutto ha capito chi è lui, Leo… biiip… Orl…biiip.  E lo ha sempre votato a furor di popolo.

In verità lo hanno capito anche altrove. Non c’era grande città o paesino più sperduto d’Italia dove Orl… biiip non venisse acclamato, assieme al giudice Caponnetto, a Nando dalla Chiesa, a Claudio Fava, ad Alfredo Galasso (biiip anche per loro? Ma no, ogni tanto un po’ di democrazia, per Dio): nelle piazze, nelle strade, nei teatri.

Poi però – dopo il crollo della Prima Repubblica, mentre la mafia si riorganizzava e si accingeva a fare il suo partito, che poi non fece, perché scesero in campo Silvio e Marcello, e Cosa nostra non ebbe più bisogno di mettersi in proprio – accadde qualcosa.

Una grande riunione attorno a un tavolo: questo ha rotto i coglioni, si è messo in testa di fare il presidente del consiglio, se ne deve andare, con le buone o con le cattive. Sì, ma come lo facciamo un altro botto?, succederebbe la rivoluzione. E allora sguinzagliate l’artiglieria, i Vittorii, i Giuliani, gli Emilii, la gente deve scordarsi di lui, come deve scordarsi di quei pazzi dei magistrati di Milano e di Palermo.

Menti raffinatissime. Nel giro di qualche anno, quando la gente sentiva quel nome, Leoluca (stavolta senza biiip), lo accostava al boss Bagarella, mica a lui, o al limite all’omonimo ministro.

Nella “capitale della mafia” la mafia non era scomparsa, no, faceva i suoi affari con la droga, con le estorsioni, ma dal Comune era stata sbattuta fuori. Adesso a Palazzo delle Aquile si parlava di diritti, di migranti, di cultura, di antimafia, di città rifondata dopo le devastazioni dei decenni precedenti. La città delle stragi e dei delitti eccellenti era rinata ed era diventata un modello. Ovviamente da censurare, sennò in tutta Italia avrebbero capito. Che si parli di Milano, di Expo, ma non scherziamo con le cose serie.  

Ma la vera festa, per i seguaci di Gelli, arrivava ogni 23 maggio, in occasione del ricordo di Capaci. Bastava mettere il pilota automatico e la poltiglia di fango e veleno impastata sapientemente dalle menti raffinatissime schizzava copiosamente, stavolta senza biiip: Leoluca Orlando grande delegittimatore di Falcone che lo offrì in pasto ai suoi assassini che lo fecero saltare in aria.

Per una volta l’anno, su quel nome impronunciabile, la censura saltava. Ed ecco che puntualmente veniva riproposta la trasmissione andata in onda nella tivù del datore di Marcello.

Solo un paio di minuti di programma mandati col metodo Goebbels (“Una bugia detta una volta resta una bugia, ma detta mille volte diventa una verità”). Quel pezzo in cui Orlando dice a Falcone quello che dagli anni Sessanta, a Palermo, sanno anche le pietre: nei cassetti della Procura di Palermo – in quel momento retta da Giammanco (colui che veramente, secondo Borsellino e Caponnetto, isolò Falcone) – ci sono le prove dei rapporti fra la mafia e l’europarlamentare andreottiano Salvo Lima. Praticamente l’acqua calda. Ma a volte l’acqua calda, se ben usata, serve a impastare il fango col cianuro. Chi conosce questi metodi sa benissimo come trasformare una critica politica come tante in una micidiale arma di distruzione e di rincoglionimento di massa.

Orlando-mandante-morale-della-strage-di-Capaci/Orlando-porco/Orlando-infame e tutto un florilegio di parole diffuse dalle tivù del personaggio di cui sopra. Un paradosso. L’importante è che la gente ci creda. E la gente ci ha creduto. Per trent’anni.

Adesso finalmente Orl… biiip ha concluso il suo mandato di sindaco (scusi egregio Cavaliere, scusi illustre Venerabile, il biiip dobbiamo metterlo ancora?) e non sappiamo cosa succederà al Comune di Palermo. Se il buongiorno si vede dal mattino dobbiamo dedurre che torneremo ai bei tempi andati.

Ma sì, caro Cavaliere, caro Venerabile, quel biiip mettetelo ancora: il vostro principale nemico non può permettersi di uscire di scena.

Nella foto: l’ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando

Luciano Mirone