Belpasso è un paese filomonarchico? Nella cittadina etnea, come anche nel resto della Penisola, sono diffusi sentimenti anti repubblicani? Niente paura. Ad attestarlo è oggi la toponomastica e non la presenza di nostalgici sostenitori dei Savoia.

Se, infatti, verso la metà del secolo scorso, nel Meridione soprattutto, forte appariva ancora la componente monarchica, oggi più nessuno mette in discussione la forma istituzionale scelta nel 1946.

Tuttavia, tra gli Italiani e i Savoia continua un affettuoso rapporto di “amorosi sensi”, come sembra attestare la curiosissima circostanza di attribuire le sciagure esclusivamente ai cattivi di turno, Fascismo in testa ovviamente, contro cui continua a essere praticata in modo sistematico la “dannatio memoriae”.

Così, mentre in tutto lo Stivale nessuna comunità ha intestato vie e piazze al Duce, si  mantiene inalterata la toponomastica dedicata ai Savoia, nonostante le responsabilità dell’ex casa regnante nell’avere concorso a procacciare sciagure e tragedie al popolo italiano.

Via Margherita di Savoia in una delle tante città italiane. Sopra: piazza Vittorio Emanuele in un altro centro del Belpaese 

Belpasso non fa eccezione. A Umberto I, secondo re d’Italia, è dedicata la piazza principale della Scacchiera. Niente di male, se non fosse stato lo stesso re, dopo l’eccidio di Milano del 1898, a congratularsi personalmente con quel criminale del generale Bava Beccaris, che aveva ordinato di cannoneggiare la folla affamata, facendone scempio. Le vittime della carneficina non sono state mai quantificate con esattezza dagli storici. Le autorità di allora fissarono in un centinaio i morti e in circa 400 i feriti.

Secondo la Prefettura, invece, le vittime accertate furono 88. Tra i soldati si contarono due morti: uno si  sparò accidentalmente e l’altro fu fucilato sul posto subito dopo essersi rifiutato di aprire il fuoco sulla gente inerme. I Milanesi chiedevano pane; Bava Beccaris rispose col piombo; il re benedisse l’eccidio e decorò il generale con la Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia.

I Belpassesi di oggi commemorano quel monarca con immutato affetto, mantenendogli intestata la più importante piazza del Paese!

Dai giardini pubblici s’inerpica verso Borrello la seconda arteria principale, rifatta a nuovo da alcuni anni, dopo lo scempio doloroso degli ombrosi pini. Vergine in tutto, fuorché nel nome, la via continua a essere dedicata al successore di Umberto I, il figlio Vittorio Emanuele III, il re del Fascismo, della conquista della Libia, dell’Etiopia e dell’Albania, della partecipazione alla guerra civile spagnola, della prima e seconda guerra mondiale, dell’armistizio e della vergognosa fuga.

Così Belpasso, quasi per ricompensarlo delle sciagure inflitte al popolo italiano, gli mantiene intestata, ancor dopo settantasei anni dalla fine della monarchia, la sua strada più lunga, quando poteva già chiamarla via Etnea!

E che dire delle vie Principe di Piemonte, Duca di Genova, Duca D’Aosta, Regina Elena, Savoia? C’è tutta la famiglia reale: casato, figlio, moglie, parenti stretti del re fuggiasco e guerrafondaio, senza alcun altro merito se non quello  dell’appartenenza alla casa regnante a cui i Belpassesi di ieri e di oggi continuano a manifestare affetto viscerale e rispetto filiale, se ancor non osano mettere in discussione una vecchia, obsoleta, anacronistica, ingiusta toponomastica.

Povero Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, padre di Umberto I e nonno del re della sconfitta e dell’ingloriosa fuga! Lui che l’Italia aveva contribuito a farla, se non altro per non avere impedito l’aggregazione tra gli stati della Penisola, assecondando quella magnifica volpe del Cavour, ha avuto in premio dai Belpassesi il raccordo, adibito spesso a disordinato parcheggio, tra la piazza Stella Aragona e Via Fiume. Perché mai viene da chiedersi? Perché al meno peggio dei Savoia un simile trattamento?

E che dire ancora di Mazzini, Cavour e Garibaldi? In quali vicoli stretti e tortuosi sono stati sistemati? Per loro il modesto contentino che ha il sapore della beffa: piccole e periferiche viuzze che attestano un doveroso modesto tributo, piuttosto che l’indelebile riconoscenza dei figli verso i padri della Patria.

Certamente, i Belpassesi sono più attenti alla pulizia delle loro strade che al nome che le è stato attribuito. Tuttavia, continuano silenti a non stigmatizzare l’indifferenza di chi li amministra, dinanzi al degrado delle vie di accesso, lasciate spesso a dare il benvenuto al visitatore con folti cespugli di erbacce e inaccettabili cataste di rifiuti. E sicuramente, rimangono anche interessati alla creazione di nuovi parcheggi, piste ciclabili, aree pedonali.

Per questo motivo, probabilmente seguirebbero con maggiore trasporto l’impegno di chi li rappresenta nel Civico Consesso, se questo fosse adeguatamente orientato a tenere la Città in uno stato di più accettabile decoro.

Per nessuno, quindi, in Italia, oggi la toponomastica può costituire la priorità. In un momento in cui ogni energia deve essere profusa alla definitiva sconfitta della pandemia e al sostegno dell’economia, messa in ginocchio anche dalla guerra che insanguina l’Ucraina, le distrazioni dagli obiettivi importanti vengono collocate opportunamente in coda, perché la vita scorre via lo stesso, tra mali antichi, eterni stenti e nuove tragedie. Tuttavia, è auspicabile riuscire a occuparsene, per non smarrire il contatto con la storia e perché l’economia non è tutto.

Per chi amministra le città e chi sarà chiamato in futuro a governarle, quale migliore occasione per imprimere un sigillo di indirizzo ideologico e politico che non sottrae attenzioni alle priorità e, soprattutto, non richiede alcuna spesa di pubblici quattrini?

Nino Pulvirenti