Quattro almeno le vie che conducono alla pace. Le prime due appaiono obiettivamente difficili, non risolutive e si annullano a vicenda, perché si fondano sulla vittoria di uno dei due contendenti. La terza sembra assai pericolosa. Ne rimane solo una praticabile, anche se tortuosa, quella che vede l’Europa protagonista.

LA PRIMA IPOTESI. Si basa sull’auspicio che l’Ucraina possa vincere la guerra. In Occidente, sono tanti coloro che lo affermano. Sarebbe altrettanto interessante sapere se i potenti della terra davvero lo pensano. La speranza che il conflitto possa concludersi positivamente a favore di Kiev alimenta la resistenza del Popolo ucraino e la continua mobilitazione di risorse messe in campo dalle democrazie occidentali a sostegno della guerra contro gli aggressori russi. E’ fuori di ogni ragionevole dubbio, infatti, che senza dollari, euro, sterline e armi della NATO la guerra sarebbe già finita da un pezzo con l’annientamento delle legittime aspirazioni ucraine. Tuttavia, appare difficile immaginare che Kiev possa riuscire a liberare tutti i territori conquistati dai Russi, sia per il divario delle forze in campo sia perché Mosca non può permettersi di soccombere per motivi interni e ragioni di prestigio internazionale. C’è inoltre da chiedersi quanto sia strumentale e interessato l’aiuto militare anglo-americano, senza il quale anche le recenti dichiarazioni di Zelensky sarebbero più in linea con quelle delle prime settimane del conflitto. 

LA SECONDA. Si fonda sulla previsione dell’ineluttabile vittoria russa. A molti attenti osservatori sembra, infatti, assai probabile che alla fine Golia possa avere il sopravvento sul piccolo David. La disfatta dell’esercito ucraino garantirebbe la fine delle ostilità e il controllo dei territori contesi da parte di Mosca. Ma appare anche altrettanto certo che la vittoria, ottenuta sul campo e non riconosciuta dall’Occidente, equivarrebbe a una sconfitta per Putin e risulterebbe abbastanza onerosa per il popolo russo con costi umani e politici superiori ai benefici. D’altronde, già oggi sono visibili gli effetti delle sanzioni e lo scotto che Mosca è costretta a pagare in termini di credibilità internazionale.

LA TERZA. E’ certamente la più rischiosa, perché passa dal logoramento delle forze in campo che potrebbe innescare l’escalation e portare all’uso di armi più letali, all’allargamento del conflitto, a reazioni emotive e pericolose. In realtà, un fatto appare chiaro: se Putin non vince la guerra, non può nemmeno perderla. Dal canto suo Biden sembra fortemente tentato a cogliere l’occasione per indebolire il nemico storico, alimentando la speranza nella vittoria del popolo ucraino con l’invio di potenti armi offensive e il massiccio sostegno economico e tecnologico. La domanda che bisogna da subito porsi, prima che sia troppo tardi, ha a che fare con l’individuazione dell’orizzonte della tensione fino a cui sono disposti a spingersi i due presidenti russo e americano: il riconoscimento cioè del limite oltre il quale la frustrazione sarebbe per entrambi inaccettabile.

LA QUARTA. Rimane quindi, che piaccia o no, un solo percorso praticabile: riuscire ad imporre la pace, offrendo alle parti un’onorevole via d’uscita, sulla base del riconoscimento internazionale di alcune rivendicazioni putiniane (Crimea? Donbass? Donetsk? Lugansk? Neutralità strategica dell’Ucraina?) e la garanzia internazionale dell’integrità del rimanente territorio controllato da Kiev, con il conseguente avallo da parte di Mosca dell’ingresso nell’U.E dell’Ucraina.

Il nuovo equilibrio sarebbe giustificato dai morti che ambedue i contendenti hanno lasciato sul campo. Promotrice e garante della pace dovrebbe essere l’Unione Europea sia perché è direttamente investita dalle tragiche conseguenze economiche, politiche, militari, umane di questo sciagurato conflitto, sia perché i paesi europei si giocano oggi il loro futuro di crescita politica e credibilità internazionale.

USA e Cina, infatti, sono troppo lontani, hanno interessi planetari, rischiano poco o nulla a inasprire la tensione, hanno risorse sufficienti per sostenere le loro economie, potrebbero non avere interesse a buttare acqua sul fuoco. E per questi motivi non sono credibili come mediatori.

La difficile via della pace passa dunque dalla capacità dell’Europa di assumere un ruolo attivo nella gestione della crisi, stoppando le ingerenze delle due superpotenze extraeuropee. Il percorso è certamente difficile, ma a tanti sembra l’unico possibile.

In effetti, qualcosa già incomincia a muoversi in questa direzione. Lo si coglie nell’attivismo diplomatico del presidente francese Macron, nella missione di Draghi a Washington e in alcune dichiarazioni di influenti leader italiani ed europei. Ma è necessario non andare in ordine sparso, essere realmente coesi e parlare finalmente una sola, unica lingua. Soprattutto occorre fare in fretta.

Nella foto: un bombardamento russo in Ucraina

Nino Pulvirenti