Per lo Stato, l’ex magistrato Antonio Ingroia è a “rischio mafia” solamente in Sicilia: solo nell’Isola può usufruire della scorta. Quando il pm dei processi Trattativa, Dell’Utri e Rostagno (tanto per citarne solo alcuni) mette piede in Continente – anche in Calabria, in Campania e in Puglia, dove la criminalità è un’emergenza drammatica – la scorta può essergli tolta, poiché il “rischio mafia”, per il ministero della Giustizia, non esiste più.

L’articolo del Fatto quotidiano a firma Giampiero Calapò sulla scorta a Ingroia

E’ quanto denuncia il Fatto quotidiano di oggi attraverso un articolo di Giampiero Calapò, che scrive: “E’ paradossale e incredibile – dice Ingroia che ha annunciato ricorso -, mi hanno anche negato l’accesso agli atti perché ci sarebbero dei dati sensibili… cioè i miei”. Nelle righe successive vengono spiegate meglio certe dinamiche di questa vicenda che si trascina da qualche anno, senza che i governi che si succedono riescano a dare una soluzione concreta.  

“Il Viminale – si legge sul Fatto – ha dato seguito a quanto annunciato a Ingroia lo scorso Ferragosto, ignorando però quanto sancito peraltro dal Tar due anni fa che, con conferma del Consiglio di Stato, riassegnò la tutela armata all’ex magistrato dopo una decisione analoga già presa dal ministero dell’Interno”.

“Il Tar rilevò – seguita Giampiero Calapò – che Ingroia è oggi impegnato come parte civile in molti processi di mafia, anche fuori dalla Sicilia”, a cominciare da quello sulla “‘ndrangheta stragista” a Reggio Calabria, “in cui il boss Giuseppe Graviano attaccò duramente in aula l’avvocato Ingroia che lo stava interrogando nel ruolo di difensore delle famiglie dei carabinieri uccisi nel gennaio 1994, Antonino Fava e Vincenzo Garoifalo”.

“Il Viminale – spiega Ingroia al quotidiano diretto da Marco Travaglio – è evidentemente convinto che si possa essere a rischio di subire attentati firmati da Cosa nostra soltanto in Sicilia, a me sembra che un ragionamento del genere possa espormi in realtà ulteriormente. In ogni caso è incredibile che non mi sia consentito l’accesso agli atti per tutelare la mia privacy da me stesso”.

Redazione