“La Cgil di Catania teme che le conseguenze negative del conflitto russo ucraino possano colpire a breve anche la Zona industriale del capoluogo etneo, con effetti diretti ed indiretti dei costi energetici. La mancanza di progettualità di sistema, nonostante le opportunità del Pnrr, rischiano di erodere il 2 per cento del PIL che faticosamente è stato guadagnato dopo l’inizio della pandemia.L’aumento dei costi energetici di quasi il 40 per cento (37,7 per cento) e, più in generale, dell’inflazione, rischiano di travolgere molte realtà industriali e di conseguenza i lavoratori”.

Questo in sintesi il contenut0 dell’incontro con la stampa tenutosi stamattina nel Salone Russo di via Crociferi (sede della Cgil),dove il segretario generale della Camera del Lavoro, Carmelo De Caudo, e il segretario confederale Peppe D’Aquila, hanno fatto il punto sulle conseguenze della guerra in Ucraina e del post pandemia sulle industrie catanesi, offrendo analisi aggiornate ma anche proposte.

Il segretario generale della Camera del Lavoro, Carmelo De Caudo, e il segretario confederale Peppe D’Aquila nel corso dei lavori. Sopra: un tratto della zona industriale di Catania

“Le aziende catanesi che per svolgere le proprie attività hanno bisogno di grandi quantità di energia elettrica e gas – è stato detto – subiscono già le conseguenze della guerra, come testimonia il caso Acoset, i cui dipendenti si dichiarano preoccupati per il futuro. Per imprese come le Acciaierie di Sicilia (che avevano già sospeso alcuni turni nei mesi scorsi per il caro energia), il timore è che nuove ricadute possano registrarsi nei prossimi mesi. La guerra in corso non accenna a finire e le conseguenze possono irradiarsi sino al nostro territorio, scatenando conseguenze a catena”.

“Le aziende di distribuzione dell’acqua potabile – affermano i sindacalisti – rappresentano l’esempio più emblematico. I rincari energetici quasi triplicati non consentono la gestione ottimale del servizio idrico integrato. Le pompe di spinta dell’acqua, fortemente energivore, rischiano di fermarsi per evitare il default delle stesse aziende di distribuzione; il riferimento è ad Acoset e Sidra, poiché il costo al kw passa da 19 centesimi a 40 centesimi”.

“Nell’ambito delle costruzioni, inoltre – viene spiegato -, il vantaggio competitivo dello scorso anno (+2,9 per cento) rischia di essere rosicchiato rapidamente dall’inflazione e dall’aumento di alcune materie prime come il cemento, che registra un + 400 per cento”.

Le conseguenti restrizioni delle banche per l’accesso al credito tolgono ossigeno ai cantieri edili che nel frattempo sono nati grazie al provvedimento del 110 per cento. 

“Nell’industria manifatturiera soffrono più le aziende particolarmente energivore che in Sicilia subiscono da sempre la condizione di insularità. Parte delle produzioni rispetto ai rincari energetici potrebbe spostarsi verso il Nord Italia, per una naturale convenienza di margine sul prodotto”.

Questi sono solo alcuni esempi degli effetti più evidenti della crisi post Pandemia e della guerra in Ucraina. Che fare allora? La Cgil di Catania chiede un confronto urgente con il Comune e la Regione Siciliana, e le associazioni datoriali, affinché il tema delle aziende a rischio imminente o addirittura già in corso, di indebolimento, venga affrontato con un “Piano speciale territoriale”. 

Ma non basta. “Dopo un 2021 a tinte fosche – dicono alla Cgil – nel quale Catania sembrava avesse parzialmente recuperato, nel 2022 il PIL della Sicilia frena bruscamente anche per effetto del conflitto. La crescita del Prodotto interno lordo tenderà a scendere  sotto il 3,5 per cento; un dato ben più modesto rispetto al 5,3 per cento stimato dalla Regione Siciliana. Tutto il Mezzogiorno, rispetto al resto del Paese, risulta più resistente e meno reattivo agli stimoli di ripresa ma, nonostante questo, la Sicilia ed in particolare Catania, ha qualche chance in più da giocare rispetto ad altre regioni meridionali. Molto potrebbe cambiare con un’efficace gestione del PNRR. La sfida è trasformare il 40 per cento di fondi destinati al Sud in nuova capacità produttiva in grado di intercettare una quota maggiore di domanda, interna ed estera”.

Dichiarano il segretario generale della Camera del Lavoro, Carmelo De Caudo, e il segretario confederale Giuseppe D’Aquila: “È vero che Catania ha trainato in questi ultimi due anni l’economia della Sicilia ed è stata determinante per non raggiungere il fondo delle classifiche fra le regioni del Mezzogiorno in termini di crescita, ma la guerra può rallentare velocemente il processo di crescita. È necessario reagire in fretta. I provvedimenti del Governo, per ultimo quello riferito ai criteri per la Cassa integrazione ordinaria, risultano inefficaci e insufficienti per rispondere in modo adeguato alla crisi. La Regione Siciliana stenta a creare progettualità, il turbinio delle procedure burocratiche continua a rappresentare un freno alla ripartenza e il balletto dei proclami in chiave elettorale è solo all’inizio. Il risultato, se continua così, sarà quello di non riuscire in tempo utile ad agganciare la ripresa”. 

Per la  Cgil  di Catania “è necessario ricordarsi delle opportunità in corso: la ST Microelectronics svolge un ruolo di altissimo rilievo. L’investimento annunciato sulla costruzione di un insediamento produttivo di carburo di silicio, non solo chiuderebbe la filiera industriale dei semi conduttori a km 0 a Catania, ma rappresenterebbe il primo esempio di politica industriale. Sulla stessa lunghezza d’onda e dentro il contesto di transizione energetica globale, si connota l’investimento di Enel Green Power 3Sun che punta a ridisegnare il layout aziendale per poter quintuplicare la produzione di pannelli fotovoltaici bifacciali di altissima qualità e capacità energetica”.

“Entrambi gli investimenti – affermano gli esponenti della Cgil – sono tutti o in parte finanziati dal PNRR, hanno superato da tempo le fasi progettuali e adesso devono concretizzarsi. L’avvio dei lavori e l’innesco degli investimenti sono cruciali per lo sviluppo del nostro territorio”.

“In questo contesto di transizione digitale ed ecologica – proseguono – è stucchevole assistere alla discussione sterile che si è innescata sui termovalorizzatori. Anche in questo caso sarebbe necessario chiudere, o meglio costruire, la filiera circolare dei rifiuti”.

“Non ci appassiona – dice la Cgil – la tifoseria pro o contro i termovalorizzatori, siamo certi però che in un contesto in piena evoluzione paghiamo a caro prezzo i ritardi del passato e l’inconsistente politica energetica che da più di 20 anni frena una discussione vera sul riutilizzo ed il riciclo dei rifiuti. Il conflitto bellico, nella sua infinita drammaticità sociale, sta velocemente ridisegnando i sistemi di approvvigionamento e le tratte delle merci. Per effetto di questo la Sicilia ritorna a essere strategica e al centro del Mediterraneo”.

“Catania risulta essere centrale fra le diverse aree industriali che a breve cambieranno i loro processi produttivi (Siracusa, Gela, Milazzo). In questo quadro i porti di Augusta e di Catania, oltre a quello di Termini Imerese in Sicilia, acquisiscono nuova strategicità al pari di quelli di Napoli, Bari, Taranto e Gioia Tauro. Lo snodo sarà rappresentato dalle Zes (Zone economiche speciali) attorno alle quali si determineranno straordinarie opportunità per rimettere in moto il sud del paese contrastando anche la fragilità e la crescente marginalità di estese aree interne della Sicilia. Tutto questo ha bisogno di una visione ampia, complessa ed articolata. In una sola parola: bisogna fare sistema”.

DATI UTILI 

L’economia siciliana sembra avere retto meglio di altre regioni meridionali lo shock economico della pandemia: Agricoltura – 4%, servizi – 6,6%, Industria (in senso stretto – aziende di produzione e Manifattura) -8,6%, Costruzioni + 2,9%.

Il totale complessivo di flessione negativa di valore aggiunto è del 6,2% rispetto alla perdita complessiva di tutto il Mezzogiorno che si attesta al 7,9%. La Sardegna perde il 9,4%, la Calabria il 9,3%, la Campania l’8,1%, la Puglia il 7,9%. Non sono dati che devono farci gioire, anzi; i margini di vantaggio sono risicati e gli effetti del conflitto bellico iniziano a stressare pesantemente la nostra economia.

Redazione