23 settembre 1991, io e Carmen Consoli durante il sound check prima del concerto dei Malibran alla Festa dell’Unità di Piazza Europa, a Catania (foto). Ci eravamo conosciuti qualche mese prima, il 24 giugno di quello stesso anno, alla fine della nostra esibizione all’Albatros di Gravina di Catania (foto): lei aveva assistito al nostro show seduta per terra, come tanti altri del pubblico, e si era avvicinata per congratularsi con il sottoscritto. Non per quanto riguarda la voce, ma per il mio modo di suonare la chitarra. Evento singolare, dal momento che, giustamente, dopo i nostri concerti andavano tutti a complimentarsi con Jerry, da sempre la nostra chitarra solista, e non con me.

Eppure lei mi disse che quando “entrava” la mia chitarra, la nostra musica sembrava accendere i motori, avendo io un approccio più rock. Forse anche perché Carmen non era (e non è) un’appassionata di progressive in senso proprio. Rimasi un po’ stupito nell’ascoltare questa ragazza di 15 o 16 anni parlare con “cognizione di causa” della Gibson Les Paul Custom che utilizzavo all’epoca, dicendo che si vedeva quanto amavo suonarla, come se si trattasse di un approccio con una donna. Non so come faccio a ricordarmi anche i particolari di quella conversazione. Non sapevo che sarebbe diventata famosa.

Carmen Consoli qualche anno fa a Milano. (foto Roby Bettolini). Sopra: la musicista ancora ragazzina ai concerti del gruppo catanese Malibran, con Jerry Litrico (in basso a sinistra) e Giuseppe Scaravilli (in basso a destra)

Da quel giorno lei cominciò a seguire i nostri concerti (almeno fino a metà anni ’90) ed io i suoi, con i ‘Moondogs’ o accompagnata da un solo chitarrista. A volte veniva a chiedere la mia opinione riguardo quest’ultimo, approfittando di un attimo in cui non cantava.

Ascoltai per la prima volta la sua voce mentre mi recavo a ‘La Cartiera’ di Piazza Teatro Massimo insieme all’amico Fabrizio Mirone (autore della copertina del primo disco dei Malibran). Ed entrambi rimanemmo stupiti, perché conoscevamo una ragazzina minuta, e sentivamo, da fuori, il vocione di una cantante blues americana.

La chiamavamo ‘la piccola fiammiferaia’, non ricordo perché. In seguito avrebbe cambiato il suo modo di cantare, ma, a quel tempo, aveva questa voce blues e cantava brani di Janis Joplin, Otis Redding, Beatles o Free. Sapeva che di questi ultimi a me piaceva in particolare ‘Mr. Big’, e una volta me la dedicò al microfono.

Quel settembre del 1991, quando finimmo di suonare alla festa dell’Unità davanti ad un mare di gente, lei salì sul palco per abbracciarci, dicendoci: “Ma dove (bip) la trovate tutta questa grinta?”. Cominciai ad andare spesso a casa sua, e passavamo il tempo tra pizze e chitarre. Si sorprese quando mi dissi disponibile a suonare con lei per qualche progetto. Le prestai una videocassetta di quei Free che lei cantava, ma che non aveva mai visto. A sua volta lei mi prestò un libro con tutti i racconti di Edgar Allan Poe. Non sono riuscito a restituirglielo perché, dopo che ebbe ottenuto il successo “vero”, a livello nazionale, ci siamo persi di vista.

Il suo sogno era fare dischi come noi, e al telefono, riferendosi al mio testo de ‘Le Porte del Silenzio’, mi diceva che suonava come una poesia. Il CD omonimo glielo consegnai io stesso a casa sua. Non gli chiesi soldi in cambio, ma, quando me ne andai, mentre ero ancora per strada telefonò tutta mortificata a casa mia, dispiacendosi con mia madre per il fatto di essersi dimenticata di pagarmelo.

Mi chiamava affettuosamente ‘Scaravilli’, e, durante un suo concerto in piazza, a Mascalucia, quando mi vide arrivare tra il pubblico, mi salutò al microfono con il suo “Scaravilli!”, facendo voltare tutte le persone verso di me.

Giuseppe Scaravilli con il “mitico” gruppo dei Malibran, tuttora in attività

In un paio di occasioni, mentre ero fuori Sicilia con i Malibran, le spedii qualche cartolina. Anche nell’ottobre del 2000, quando ci incontrammo all’aeroporto di Catania, mentre io la filmavo facendole per scherzo un’intervista, si rivolgeva a me chiamandomi “Scaravilli!”. Ho ancora quel filmato.

Registrava i suoi demo sul quattro piste di un caro amico che frequento ancora oggi e che utilizzavo anche io nel 1992.

Una volta mi chiese se potevo portarglielo a casa. C’era una sua musicassetta inserita, ed io la ascoltai sull’autoradio: il brano era una prima versione di ‘Quello che sento’: il pezzo che l’avrebbe portata da Sanremo Giovani al Sanremo vero, dove avrebbe iniziato la sua ascesa con ‘Confusa e Felice’.

Vederla in TV, alla RAI, fu per me davvero strano. Ma pensai che se lo meritasse. Quando andavo a casa sua vedevo che viveva per la musica. Registrava, e mi confidava di dover lavorare ancora riguardo alla sua capacità di scrivere bei testi. Ci sarebbe riuscita.

Ricordo che rivedemmo insieme le foto di quel nostro concerto alla Festa dell’Unità ’91 poco tempo dopo. E lei mi disse che sarei stato bene anche senza barba, perché avevo “i lineamenti belli”. Avevo già sentito parlare bene di lei dal proprietario del ‘Gazy Pub’ di San Gregorio, dove suonavamo anche noi. Ma quando venne a congratularsi con me, dopo il concerto all’Albatros, non sapevo che si trattasse della stessa persona. Lo capii chiacchierando con l’amico Morris Pantò, che la conosceva, quando Carmen era ormai andata via.

Trascorse circa un anno a Roma, alla ricerca della sua “via musicale”, ma tornò delusa. Qualcuno le aveva anche detto che la sua voce somigliava troppo a quella di Anna Oxa (?).

Una volta, alla ‘Vecchia Botte’ di Ragalna, le vidi presentare il suo primo brano inedito, tra tante cover. Si intitolava ‘L’Uomo Bostik’ (con riferimento ad un suo corteggiatore appiccicoso), ed inedito sarebbe rimasto. Anche se si trova su YouTube, cantato da lei scherzosamente alle ragazze di un suo fan club. Quel locale teneva appese alle pareti belle foto in bianco e nero dei musicisti che vi si erano esibiti, Carmen e Malibran compresi. Lei mi diceva di sentire che noi stavamo per “esplodere”, non immaginando che il botto vero l’avrebbe fatto lei.

L’ho vista su RAI 1 ospite di Fabio Fazio e a Domenica in ospite di Pippo Baudo. Anche ad un programma TV siciliano che mi vedeva tra il pubblico: in quella occasione fui tra le persone che volle salutare e ringraziare al microfono.

Sulla copertina di un libro dedicato alle grandi cantanti italiane la sua immagine era accanto a quella di Mina. Ora celebra i suoi 25 anni di carriera all’Arena di Verona. So che è tornata a vivere a Catania, ma non credo che sappia di me sulla stupida sedia a rotelle.

Ci siamo visti un’ultima volta il 17 ottobre 2004: lei doveva ritirare un premio al teatro Martoglio di Belpasso, ed era circondata da giornalisti: quando mi vide, lasciò perdere tutti e venne ad abbracciarmi, invitandomi a casa sua per il giorno dopo. Invece ebbe un impegno (un’intervista), e non ci siamo più incontrati.

Giuseppe Scaravilli