Il Ponte sullo Stretto di Messina si farà. Parola di Massimo Garavaglia, che dell’attuale Governo presieduto da Mario Draghi è ministro della Mobilità sostenibile. Avete capito bene: “sostenibile”. Ma “sostenibile” rispetto a cosa? Immaginiamo rispetto alle varie emergenze che affliggono la Sicilia e, ahinoi, l’intero pianeta: ambientali, climatiche e mafiose. Peccato che nei dispacci che la maggiore agenzia giornalistica italiana (l’Ansa) ha diffuso questa mattina sull’intervento del ministro – in audizione nelle Commissioni Ambiente e Trasporti della Camera dei deputati –, di queste parole non troviamo traccia.     

Nell’ambito della tematica sull’“attraversamento stabile dello Stretto di Messina”, Garavaglia ha sciorinato un discorso politico-programmatico così pieno di tecnicismi e di teorie che francamente non abbiamo capito se parlava di due regioni come la Sicilia e la Calabria, oppure di un mondo che immagina solo lui e il suo Governo (del quale fa parte anche il Movimento Cinque Stelle, dichiaratosi da sempre contro il Ponte, su cui saremmo curiosi di conoscere la posizione).

Ma vediamo cosa ha detto oggi Garavaglia, secondo il resoconto dell’Ansa: “Tutti gli interventi che verranno attuati parallelamente al progetto di fattibilità per l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina per velocizzare l’attraversamento ferroviario e veloce dei passeggeri ‘sono già finanziati attraverso il fondo complementare o la nostra proposta di Fsc 21/27 o attraverso risorse statali o il Pnrr: complessivamente si pianificano interventi per mezzo miliardo”.

“Il cronoprogramma, ha precisato il ministro, parte dall’istituzione di un gruppo di lavoro permanente entro l’autunno 2021, fino al completamento del programma entro il 2025: “Un programma sicuramente ambizioso ma realistico”, ha detto. 

“Tra le motivazioni che giustificano un attraversamento stabile illustrate nella relazione del gruppo di lavoro – scrive l’Ansa – ci sono: 1) “Le considerazioni socio-economiche legate anche agli andamenti negativi della popolazione, occupazione e Pil per l’area, che sono decisamente superiori a quelli nel Centro-Nord e nello stesso Mezzogiorno”; 2) E le “motivazioni trasportistiche. Il tempo medio di attraversamento attuale dello Stretto è paragonabile al tempo di viaggio che un’auto impiega, se si considera anche il pedaggio, per percorrere dai 100 ai 300 km”.

“La Sicilia – ha aggiunto il ministro – è tra le isole più popolose al mondo che non posseggono un attraversamento stabile, eppure ha un elevato potenziale di collegamento. Il collegamento stabile dello Stretto di Messina, congiuntamente agli interventi programmati dal Pnrr sulle reti di trasporto, in particolare sull’Av, permetterebbe di rendere confrontabili i tempi medi di viaggio sulla rete ferroviaria da e verso il Sud con quelli oggi offerti al Centro-Nord e ridurrebbe anche i costi di attraversamento”.

“La presenza di un collegamento stabile – ha proseguito – potrebbe modificare nel tempo le scelte localizzative e di approdo di taluni traffici, producendo anche un incremento di domanda”, precisando che comunque “le analisi condotte mostrano che gran parte del traffico marittimo merci non si fermerebbe comunque in Sicilia ma proseguirebbe verso gli scali del centro Nord”.

Il discorso è proseguito su questa linea e francamente ci sembra incompleto, scarno, poco comprensibile e soprattutto già sentito (ma forse i dispacci dell’Ansa sono stati battuti in fretta), vista la tematica complessa che da almeno sessant’anni spacca questo Paese.

Essere contro il Ponte tout court è sbagliato, ma non trattare l’argomento a trecentosessanta gradi pure.

Siamo d’accordo con chi dice che la tecnologia moderna ha dato prova di realizzazioni di opere pubbliche che sembravano impossibili, dimostrando di possedere intelligenze, professionalità, materiali di prim’ordine per costruire ponti, dighe, strade, autostrade, ferrovie e tanto altro.

Ma siamo pure d’accordo con chi sostiene che la situazione esistente fra Scilla e Cariddi è piena di vistose criticità che non possono essere trascurate. E badate bene: non si tratta “dei soliti quattro ambientalisti” – come dice qualcuno – che si dichiarano “contro a prescindere”, ma di fior di scienziati o di magistrati che nulla hanno da guadagnare dalla mancata costruzione dell’opera.

Cosa dicono costoro (fra l’altro)?

1)      Che Calabria e Sicilia si allontanano di qualche millimetro l’anno; 2) Che le coste della Sicilia e della Calabria sono fra le più franose del mondo; 3) Che nel 1908 Messina e Reggio subirono una delle più drammatiche catastrofi della storia a causa di uno tsunami e di un terremoto che nella città siciliana causarono 80mila morti su circa 140 mila abitanti, con il 90 per cento delle case demolite, e nella città calabrese 15mila morti su 45mila abitanti; 4) Che secondo la scienza questi fenomeni tellurici si ripetono ciclicamente; 5) Che la mafia e la ‘ndrangheta non aspettano altro per mettere le mani su appalti, subappalti, terreni e tanto altro, sia con le buone che con le cattive, sia con il “dialogo” – lo stesso “dialogo” che alcuni anni fa teorizzò il ministro del Governo Berlusconi, Pietro Lunardi, quando disse che “con la mafia bisogna convivere”) che con le bombe.

Su questi punti si potranno fare le obiezioni più pertinenti e plausibili del mondo, ma da un ministro della Repubblica ci saremmo aspettati un discorso più completo, più pratico, più reale. Lo sappiamo che la mancanza di un “collegamento stabile” fra Calabria e Sicilia rallenta la mobilità fra le due regioni e quindi fra un pezzo d’Italia e l’Europa, ma sappiamo pure che dall’altro lato si dice che il rischio che si corre è quello paradossale di rallentarlo ancora di più se una materia del genere viene liquidata con superficialità da entrambe le parti.

E allora che si avvii un dibattito serio (nazionale ed europeo) fra scienziati, politici, magistrati, ambientalisti ed esponenti della Società civile sul Ponte sullo Stretto. E alla fine si traggano le conclusioni.

Ma intanto un esempio va fatto. Fino a una quindicina di anni fa, a Messina, la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica era a favore dell’opera. A spiegarne “le magnifiche sorti e progressive” erano stati, fino a quel momento, i soliti noti.  

Poi arrivò un certo Renato Accorinti, un docente di scienze motorie da sempre contrario all’infrastruttura. Con i suoi amici, Renato cominciò a girare nelle facoltà universitarie, nelle scuole, negli uffici, nei campetti di periferia per spiegare che la storia del Ponte non era così suggestiva come l’avevano narrata Lor Signori. E con l’aiuto di valenti docenti universitari, si cominciarono a spiegare, con carte alla mano, perché l’edificazione di un manufatto del genere avrebbe potuto generare un impatto negativo alla città. Praticamente si era innescato un meccanismo che nei paesi civili si chiama “dibattito democratico”.            

Nel giro di pochi anni la città ha cominciato a registrare un’inversione di tendenza cui pochi all’inizio credevano, al punto che Accorinti diventò sindaco. Perché la verità non è mai bianca o nera, ma contiene delle sfumature che soltanto il sapere ci dà la possibilità di vedere.

Signor ministro, siamo d’accordo con lei: l’attraversamento in traghetto dello Stretto di Messina frena la velocità di transito degli uomini e delle merci, ma ci dica concretamente come si costruisce un ponte fra due sponde che si allontanano costantemente e si trovano in un territorio tellurico e franoso come questo? Come si costruisce un ponte di quelle dimensioni lasciando fuori ‘ndrangheta e Cosa nostra?

Nella foto: il plastico del Ponte sullo Stretto  di Messina

Luciano Mirone