In Sicilia c’è una Cosa nuova che combatte Cosa nostra con le armi della democrazia e va seguita con estrema attenzione perchè potrebbe avere un grande futuro. Un movimento antimafia che va oltre le parole, i riti e la retorica, si rimbocca le maniche e lotta contro una mafia nuova ma vecchia, arcaica ma moderna, che sta distruggendo il mondo. La mafia degli incendi. Un movimento che, prima o poi, andrà ‘oltre’ l’Isola e manifesterà contro tutte le Cose nostre che stanno bruciando il pianeta per ragioni che al momento l’uomo stenta a comprendere, ma che gradualmente emergeranno nella loro drammaticità. Un movimento che si collegherà a quelli sorti recentemente per il clima, un fenomeno al quale quello degli incendi è indissolubilmente legato, anche se ancora molti non lo capiscono.

E per favore, non sottovalutate la parola ‘incendi’, non si tratta di un fenomeno isolato e casuale, come succedeva qualche decennio fa. E’ un atto terroristico-mafioso che sta coinvolgendo tutti, dalla Sicilia alla Sardegna, dalla California alla Foresta amazzonica, dalla Russia al Messico, e sta velocizzando la distruzione della terra e quindi quella nostra e dei nostri figli.

E non pensate ai pastori che ‘rinverdiscono’ il pascolo o agli stagionali della forestale che non vogliono perdere il lavoro. C’è anche questo, certo, ma c’è molto, molto di più, al sud come al nord, a est come a ovest. Un’organizzazione che appicca il fuoco contemporaneamente, da diverse postazioni strategiche, non è roba di balordi, presuppone una ‘mente raffinata’, come negli anni Settanta e Novanta, quando gli attentati terroristico-mafiosi avvenivano contemporaneamente per dividere in mille rivoli la risposta dello Stato.

Il problema è che il mondo è impreparato a fronteggiare questi fenomeni antichi ma gestiti oggi con criteri moderni. Mentre ancora si ragiona con le vecchie categorie, secondo le quali l’incendio si provoca per auto combustione, in certi palazzi si pensa a come devastare la terra per deprezzarla, in modo da trarre nuovi e colossali profitti. Lì per l’allevamento intensivo di bovini per ingrassare il mondo opulento, lì per scaricare nuove colate di cemento, lì per realizzare nuovi affari colossali di cui al momento non comprendiamo la portata.

E nell’anno in cui ricorre il ventennale degli orrendi fatti del G8 di Genova, quando durante una manifestazione pacifica contro la politica ‘consumistica’ degli otto Stati più ricchi del mondo che non si ponevano minimamente il problema del clima, morì un ragazzo e fu massacrata un sacco di gente inerme, i black block discutevano amabilmente con la Polizia, prima di cominciare a spaccare negozi, macchine e qualsiasi altra cosa per fare ricadere le colpe sui manifestanti, l’allora ministro dell’Interno Gianfranco Fini soprintendeva a queste operazioni di ‘macelleria messicana’ dalla centrale operativa delle Forze dell’ordine, e Berlusconi da Palazzo Chigi attaccava i magistrati, ecco, proprio in occasione di questo ventennale, bisogna porsi la domanda se i fatti di Genova furono casuali, furono una ‘prova tecnica’ di regime – fortunatamente non riuscita per la reazione delle forze democratiche – o una soppressione nel sangue di quelle straordinarie energie che lottavano per un cambiamento radicale della politica mondiale a favore dell’ambiente e dell’uomo.     

A vent’anni dai fatti di Genova, bisogna cercare di capire se è vero ciò che ha scritto nei giorni scorsi il filosofo Massimo Cacciari, cioè che quella soppressione nel sangue è stata finalizzata a sopprimere i nuovi movimenti ambientalisti a favore delle multinazionali che hanno sentito l’odore del business attraverso i nuovi investimenti nelle energie alternative. Non abbiamo risposte. Constatiamo i fatti e cerchiamo di legarli logicamente e cronologicamente.

E gli ultimi fatti ci dicono che in un laboratorio politico come la Sicilia si sta varando una Cosa nuova fatta da cittadini ed associazioni che lottano contro Cosa nostra, stavolta sul fronte degli incendi. L’associazione si chiama Salviamo i boschi e anche Presidio partecipativo del fiume Simeto. Non solo gente che protesta, ma gente che propone disegni di legge e iniziative. Il governo della Regione Sicilia – stando a quanto denunciano – finora non li ha ascoltati. 

Nei giorni scorsi un incendio di vaste proporzioni ha devastato migliaia di ettari coltivati ad agrumi, frumento, ulivi e mandorli nella Valle del Simeto, dove è ubicata – anche – l’azienda di Emanuele Feltri, un giovane laureato in Agraria che ha lasciato la città per dedicarsi all’agricoltura biologica. Negli anni scorsi Emanuele aveva denunciato la mafia truculenta e rozza delle campagne. Per tutta risposta sono arrivati avvertimenti e minacce. 

Adesso un incendio ha distrutto la sua fattoria e quella di tanti altri agricoltori che vivono di campagna. Bisognava vederle le lacrime di Emanuele per capire la portata di quel danno. Uno dei pochi politici a volerlo incontrare è stato Claudio Fava, presidente della commissione regionale antimafia. Per il resto silenzio. 

Stavolta però la gente della Valle non se n’è stata con la mani in mano, si è organizzata con assemblee nell’Oasi naturalistica di Ponte Barca, presìdi, denunce, nuove strategie per contrastare questa nuova piaga. Dagli incontri è emerso che non si tratta di sparuti pecorai – che anzi hanno aiutato i contadini a spegnere gli incendi – ad appiccare il fuoco, ma di una strategia scientifica messa in atto per distruggere le superfici coltivate. Diverse le cause, secondo le testimonianze, che non riguardano solo questo pezzo di Sicilia, ma il mondo intero.

Ecco perché questa mobilitazione che sta partendo dalla Sicilia e che ci auguriamo possa estendersi dappertutto. Ed ecco perché la politica è meglio che ascolti e agisca concretamente, invece di rimanere a guardare. 

Luciano Mirone