Settantadue anni esatti sono passati da quel terribile schianto tra le nuvole che il 4 maggio 1949 avevano nascosto la collina e la basilica di Superga, ma per i tifosi granata l’emozione, il dolore e l’orgoglio per il Grande Torino non invecchiano. E ogni ‘vecchio cuore granata’ e’ pronto al ricordo che non e’ mai un semplice rito. 

La tragedia di Superga. Il trimotore che riporta a casa da Lisbona la squadra pluricampione d’Italia del Torino Football Club precipita sulla collina di Superga alle ore 17.03 del 4 maggio 1949. Nella tragedia perdono la vita 31 persone: 18 giocatori, 3 dirigenti, 3 allenatori, 3 giornalisti e 4 uomini dell’equipaggio. La squadra, proclamata vincitrice a tavolino del Campionato, gioca le restanti partite schierando la formazione giovanile, cosi’ come gli avversari di turno. Il giorno dei funerali, il 6 maggio 1949, oltre mezzo milione di persone scende in Piazza San Carlo, a Torino, per dare l’ultimo saluto ai giocatori. 

DAGLI ARCHIVI DELL’ANSA
L’intervista a Sandro Mazzola: ‘Il mio tenero papà che mi toglieva il pallone’ (2 maggio 2019).
”Non so ancora come passero’ quel giorno, di solito non ci penso: come sempre, decidero’ all’ultimo”. Tra i tanti amanti del calcio innamorati del mito del Grande Torino e addolorati dal ricordo di Superga, ce ne e’ uno speciale. Che da 70 anni rivive ogni giorno quella memoria fatta di gesta epiche e un tragico schianto. Sandro Mazzola quel 4 maggio del 1949 aveva 7 anni, suo padre Valentino era il capitano di una squadra imbattibile, se non dal destino. In quell’aereo che trasportava tutta la squadra di ritorno da una trasferta a Lisbona per un incontro amichevole con il Benfica morirono 31 persone: i giocatori, i dirigenti, i membri dell’equipaggio e tre giornalisti sportivi. Una tragedia e una formazione la cui ”memoria storica non si perdera’ mai – assicura Sandro Mazzola – E’ impossibile. Quella squadra era diversa da tutte quelle del suo tempo, era una squadra moderna, velocissima e che occupava tutte le zone del campo. Non so se qualche squadra moderna puo’ far capire ai giovani cosa fosse quel Torino. In realta’ no, forse puo’ essere avvicinata per la sua modernita’ al Milan di Sacchi, forse..”. Come succede per ogni figlio che ha perso il padre, a maggior ragione se si e’ trattato di un evento tragico e inaspettato, Sandro Mazzola ha impresso nella sua mente alcuni ricordi indelebili: ”L’ultima immagine che rimane da 70 anni nella mia mente – racconta all’ANSA – e’ di quando io andavo a giocare a pallone di nascosto in strada con i miei amichetti: papa’ non voleva che dessimo fastidio. All’inizio lui faceva finta di niente, ma ricordo bene quel giorno in cui mi venne a togliere il pallone di plastica. Poi ricordo anche di quando entravo in campo mano nella mano con lui e mi faceva tirare i rigori a Bacigalupo, e lui, il portiere del Grane Torino, mi faceva segnare sempre. Cosi’ io ero molto contento di fare gol e di sentire gli applausi dello stadio”. Tra i ricordi piu’ belli dopo la tragedia – conclude Mazzola – ”quello di tutta quella gente al Filadelfia per mio padre ed il Grande Torino”. Meno bello, forse, quanto successo molto dopo, il peggio delle tifoserie nello sfregio del ricordo: ”All’estero – chiude l’ex fuoriclasse dell’Inter, riferendosi alla tragedia della Chapecoense – credo che ci sia piu’ rispetto rispetto a quanto succede da noi”.

Nella foto: il Grande Torino

Ansa