Malta ancora una volta “sotto i riflettori” per le critiche che arrivano a causa del cattivo trattamento riservato ai migranti, con una situazione aggravata in modo significativo dal COVID-19 che continua a portare a una crescente frustrazione e persino ad atti estremi di violenza. Ad essere messo sotto accusa, il Centro di prima accoglienza di Ħal Far situato a sud dell’Isola.

Ricordate la rivolta dell’ Aprile 2020, all’interno della struttura? Ebbene, pur riconoscendo pienamente le sfide che questa piccola isola deve affrontare ogni anno nell’accogliere e gestire un numero relativamente elevato di richiedenti asilo, le autorità preposte sembra che “non assolvano ai loro doveri fondamentali” a causa di “strutture gravemente sovraffollate e in condizioni estremamente povere”, rimanendo isolate con il mondo esterno.

Dopo aver visitato il centro d’accoglienza di Ħal Far nello scorso settembre, il Comitato del Consiglio d’Europa per i Diritti Umani ha accusato le autorità maltesi “di abbandono istituzionale della dignità, sicurezza e benessere per coloro che si trovano nei centri di prima accoglienza”.

Come spiega l’ultimo rapporto, sono state trovate persone “dimenticate per mesi, rinchiuse in condizioni sporche e degradanti e senza un’adeguata assistenza sanitaria”. Secondo quanto dichiarato dal rapporto si fa persino riferimento “a seppur sporadici maltrattamenti fisici da parte della polizia o dello stesso personale del centro, all’uso eccessivo di forza non necessaria o sull’utilizzo di spray al peperoncino come forma di punizione, cosa ben più grave anche nei confronti dei minori”.

Il comitato ha riscontrato quanto gli ospiti identificati come “vulnerabili” non stessero  ottenendo nè “un’accoglienza adeguata nè un sostegno psicologico appropriato. I bambini, i loro genitori e i minori non accompagnati sono detenuti insieme ad altri ospiti, senza che venga seguito alcun protocollo in materia di salute e sicurezza”.

L’edificio che ospita il centro Ħal Far, in effetti, ha una storia lunga e opprimente. Costruito su un terreno affittato dal Governo ed originariamente chiamato “China House”, aveva fatto “notizia” nel 2019, quando la polizia fece irruzione in seguito a una soffiata, secondo la quale “venivano ospitati illegalmente decine di migranti con documenti di soggiorno italiani”.

Nell’aprile 2020, a seguito di una collaborazione tra il Ministero e la Croce Rossa di Malta, parte del complesso è stato destinato ad ospitare richiedenti asilo risultati positivi al COVID19. All’epoca il Ministro dell’Interno Byron Camilleri, aveva garantito che la struttura avrebbe avuto lo scopo di fornire “cure dignitose” ai richiedenti asilo (poi sfortunatamente risultati positivi al CoronaVirus), garantendo “un’accurata e giornaliera pulizia del luogo”, con “prodotti per l’igiene quotidiana sempre disponibili per tutti gli ospiti”.

Ma com’è davvero la vita all’interno dell’unità di isolamento? Secondo il Comitato del Consiglio d’Europa, “un ospite può trascorrere in media quattro mesi al suo interno”. Secondo l’organizzazione,  “i migranti, durante la degenza, vivono un’esistenza a dir poco cupa, con stanze le cui pareti sono infestate dalla muffa ed servizi igienici lasciati in stato di totale degrado”.

Precedentemente era stato riscontrato – a quanto sembra, erano stati dati avvertimenti, ignorati però dal governo – un ambiente “del tutto inappropriato”, simile persino “ad una prigione, con totale assenza di privacy”.

A questo, si aggiungeva “la scarsa manutenzione dei servizi igienici, prodotti per l’igiene personale e materiali per la pulizia insufficienti, mancanza di vestiti puliti”. Diverse foto sono state scattate alla fine dello scorso gennaio, e consegnate al quotidiano nazionale “Times of Malta”, da una fonte del servizio d’ordine del centro, sentitasi costretto a condividerle per “mostrare alla gente cosa vuol dire essere bloccati nel sistema dei servizi di accoglienza a Malta”.

“Ogni ospite – si legge nel dossier del Comitato – occupa uno dei 12 letti a castello, in una stanza che dovrebbe averne un massimo di cinque; i servizi igienici versano in una condizione pessima, senza neanche le porte che garantirebbero un minimo di privacy; all’interno della struttura, si vive con scarsa illuminazione ed una ventilazione insufficiente, prima regola per evitare una maggiore diffusione del virus. Alcuni ospiti restano rinchiusi nell’edificio per 24 ore; mancano le più basilari attività per aiutarli a passare un tempo di quarantena che sembra infinito, e sicuramente in una totale situazione di disagio”.

Sebbene l’unità “sia ben attrezzata da medici professionisti, non è possibile accedere a specialisti come i dentisti, nè avere accesso alle cure psichiatriche”.

Dal rapporto si evince “la totale assenza di registri e cartelle cliniche riferite ai migranti”. Per i nuovi arrivati, “sembra persino che non sia disponibile un interprete”. Manca “il supporto legale e spesso non vi è alcun modo di poter comunicare con l’esterno, se non si dispone di un proprio telefono cellulare”.

Anche gli operatori delle ONG – si legge nella denuncia dell’organizzazione europea – si sono lamentati di “essere stati tenuti fuori dal centro, anche a causa delle restrizioni COVID-19, rendendo difficile persino valutare come procede la vita al’interno della stuttura”.

Ad oggi, Malta continua a essere esortata a cambiare radicalmente il suo approccio e ad assicurare che i migranti, privati della libertà, possano perlomeno riacquistare la loro dignità.

Valentina Contavalle