Che Conte, malgrado gli errori commessi, abbia governato bene – a cominciare dalle grandi capacità di mediazione con l’Europa che hanno attirato sull’Italia ben 209 miliardi del Recovery fund e la stima unanime dell’Ue – non dovrebbero esserci dubbi. Che gli manchino i numeri per governare è certo. Che Renzi sia un personaggio inaffidabile non lo scopriamo adesso. Che alle elezioni non si possa andare – a causa della pandemia – per almeno altri sei-otto mesi è pacifico.

Tenendo in considerazione tutto questo, l’unica strada percorribile l’ha indicata il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: un governo forte, in grado di gestire diverse emergenze: dal Covid-19 al Recovery plan, dalle riforme a quel che resta da fare in questi due anni e mezzo di legislatura.

Il Capo dello Stato ha indicato un nome: Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea, personalità di grande prestigio riconosciuta a livello mondiale (basti pensare che l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, quando era alle prese con un problema economico di difficile soluzione, diceva spesso: “Ora chiamo Draghi”). Ci sono altre strade? Se qualcuno le conosce, le suggerisca, noi non ne vediamo.

Dopodiché i simpatizzanti di Conte possono stracciarsi le vesti, possono imprecare contro Renzi, e noi saremo d’accordo, ma l’esperienza dell’Avvocato – ci dispiace dirlo – è finita. Ed è meglio farsene una ragione, ora e subito.

Il riferimento è alle forze del centrosinistra che hanno sostenuto l’esperienza Conte (a partire soprattutto dal M5S che ha dichiarato che non sosterrà Mario Draghi), ma anche al Pd e a Leu (Italia viva farà un suo cammino che seguirà umori e strategie del suo leader, cosa che francamente ci interessa poco).

I pentastellati avranno pure le loro brave riserve, ma forse non si rendono conto che devono fare i conti con diversi fattori fondamentali, soprattutto in queste ore: 1) siamo in emergenza; 2) non c’è altra scelta da quella indicata da Mattarella; 3) Draghi è stato proposto da una figura autorevole come il Capo dello Stato; 4) in una eventuale maggioranza Draghi, la partecipazione dei partiti del centrosinistra (anche e soprattutto il M5S) deve essere imprescindibile, perché è giusto che siano loro (e non Salvini e/o Meloni) a gestire i miliardi del Recovery. 

La politica è una categoria in continua evoluzione. Quello che succede oggi non è detto che si ripeterà domani. La vicenda di questi giorni lo testimonia. E ci rendiamo conto che è difficile mantenere la coerenza delle idee con il pragmatismo del presente: però siamo certi che un punto d’equilibrio – concetto indispensabile in politica – per salvare l’una e l’altro è sempre possibile, come è successo ai due governi Conte. Prima con la Lega, poi con il centrosinistra.

Noi non crediamo – come dicono alcuni – che Conte, in entrambe le esperienze di capo del governo, sia stato un trasformista. Siamo invece più propensi a dire che sia stato un grande mediatore (lui, assieme ai 5S) nel cercare di equilibrare le linee programmatiche di due anime politiche (prima la Lega, poi Pd e Leu) che hanno culture e orientamenti opposti: sull’Europa, sugli immigrati, sull’economia, sulla lotta alla mafia, sul contrasto alla corruzione, sull’ambiente, su Trump, su Putin e su tanto altro. E non siamo d’accordo con chi dice che ormai destra e sinistra siano la stessa cosa. Anche se ci sono frange – soprattutto a sinistra – che tendono ad omologarsi a destra, siamo sempre più convinti che le due forze sono – oggi più che mai – diverse, alternative.

Forse non tutti ricordano – nel giudicare frettolosamente l’Avvocato e i 5S – le dinamiche che hanno portato al Conte1 e al Conte2: la precedenza assoluta data al Pd da parte del Movimento 5 Stelle – che aveva vinto le elezioni – per comporre il nuovo esecutivo, il rifiuto sdegnato del Partito democratico di accettare l’offerta per le fortissime polemiche precedenti che erano state al limite dell’insulto (ricordate le parole volgari rivolte all’ex presidente della Camera Laura Boldrini)), e il successivo ripiego (ripiego, non scelta) di fare una maggioranza con la Lega, pur di dare un governo al Paese.

L’esperimento del governo “giallo-verde” non funzionò  – e questo giornale lo segnalò più volte – per le posizioni oltranziste di Salvini in tema di immigrazione e di Europa. E infatti cadde miseramente dopo circa un anno.

Dopodiché si diede vita al governo “giallo-rosso”, con la coalizione fra M5S, Pd, Leu e Italia viva (a Renzi bisogna dare atto di aver fatto nascere questa esperienza) che formò un esecutivo più moderato, più efficiente, più maturo, più europeista del precedente (lo ammette perfino l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani: “Non giudicate i Cinque stelle col senno di ieri, fatelo con quello di oggi. E oggi vi dico che sono maturati molto”. Magari non tutti, Bersani, ma una parte certamente sì), con le contraddizioni e i limiti che comunque ha mostrato, a partire dalle intemperanze dell’ex sindaco di Firenze.

Il Conte2 somiglia molto al Prodi1 (ricordate?): quando l’ex presidente della Commissione europea stava portando l’Italia fuori dalla grave crisi economica successiva alla Prima Repubblica e a  Tangentopoli, Bertinotti lo fece cadere per ragioni talmente insignificanti da apparire grottesche.

È il destino dell’Italia: quando un governo comincia a portare a casa dei risultati, scatta il boicottaggio. Immaturità, narcisismo? Non lo sappiamo, ma purtroppo è così. Prodi allora disse: questo Paese deve ancora maturare politicamente. Sono trascorsi tanti anni e la storia si ripete.

Però oggi è un altro giorno, e bisogna prendere atto che Conte è stato ignominiosamente sfrattato da Palazzo Chigi. L’Avvocato va certamente preso in considerazione per un impegno politico futuro (è sempre una grande risorsa), ma adesso bisogna guardare avanti senza voltarsi indietro.

Ora e subito, dicevamo. Prima che sia troppo tardi. Perché? Siamo così sicuri che Salvini e Meloni manterranno i propositi di non sostenere Draghi? Non nominiamo il Cavaliere perché siamo certi che lui – assieme a Renzi – appoggerà un eventuale governo guidato dall’ex presidente della Banca centrale europea. E questo potrebbe indurre gli alleati a fare altrettanto, anche se Lega e Fratelli d’Italia avranno problemi a fare digerire al proprio elettorato il dialogo che l’ex presidente della Bce avvierà inevitabilmente con l’Europa.

Ma se è vero che un governo si “deve” fare – come ha spiegato Mattarella – , si farà. Chi arriverà prima sarà percepito come “responsabile”. Gli altri no, e se ne assumeranno le responsabilità di fronte all’elettorato alle prossime elezioni Il centrosinistra non ha altra scelta: metta subito il cappello su Draghi senza perdere tempo e senza curarsi di cosa farà la parte avversa (che potrebbe andare all’opposizione se la maggioranza uscente farà questa mossa tempestiva).

Forse non si sta comprendendo che il mondo sta attraversando la più grave crisi dopo il secondo conflitto bellico. Non siamo nel momento della normalità, siamo in guerra. E la guerra obbliga le persone di buon senso a fare delle scelte. Se lo mettano in testa i 5S. Prima che sia troppo tardi. Bertinotti insegna. 

Nella foto: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con l’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi

Luciano Mirone