Claudio Zarcone scrive al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per esprimere il suo dolore per la mancata giustizia nei confronti del figlio Norman, 27 anni, dottorando in Filosofia, che il 13 settembre del 2000 si buttò dal settimo piano di un palazzo di viale delle Scienze di Palermo – sede dell’Università – per gridare il suo sdegno verso quella parte del mondo accademico che esclude i suoi figli migliori e premia i mediocri. Norman si era laureato con 110 e lode e ambiva a trovare spazio all’interno dell’Università: per uno come lui, non portato al compromesso dei concorsi truccati, gli spiegò pochi giorni prima un rappresentante ‘ntisu della “casta”, non c’era posto. In estate Norman guadagnava 25 Euro al giorno facendo il bagnino in un circolo nautico, e soffriva maledettamente, perché lui sognava di svolgere la professione all’interno di una istituzione dove avrebbe potuto esprimere il meglio di sé. E così in una calda giornata di settembre di dieci anni fa uscì di casa, si recò all’Università e non tornò più. Per questo Norman Zarcone è considerare un simbolo, il simbolo della meritocrazia e del talento. Ogni anno a Palermo viene ricordato: nella sua città il sindaco gli è stata intitolata una Rotonda. Oggi il padre Claudio ha inviato a L’Informazione la missiva struggente che ha appena scritto per il presidente Conte, e l’immagine di Norman ancora neonato. Questo il contenuto:

L’inaugurazione a Palermo intitolata a Norman Zarcone: Sopra: il ragazzo qualche tempo prima di morire

“Carissimo Presidente Conte,

sono un “bambino” di sessantacinque anni e torno a riscriverle per l’ennesima volta, sperando in un suo cortese cenno di risposta. Almeno stavolta. Almeno una supercazzola da maestrino elementare, come ha fatto con l’altro bambino che le ha scritto, temendo un lockdown per Babbo Natale.

Lei conosce la storia di Norman Zarcone? Be’, se non la conosce deleghi il suo ufficio stampa a cercare notizie, da parte mia le ho già raccontato tutto a più riprese. A settembre, in una delle mie innumerevoli missive, le avevo lanciato un guanto di sfida: venga a Palermo, incontri i giovani, gli amici di Norman, i tanti che si sono stretti attorno al suo nome e al suo gesto lacerante. Venga a Palermo – le avevo chiesto – e affrontiamo un discorso equilibrato col Primo cittadino, il Presidente della Regione e l’assessore all’Istruzione. Ma lei forse, Presidente, non mi ha considerato abbastanza “bambino” per potermi rispondere”.

Norman Zarcone

“Eppure le garantisco che sono molto “bambino”, lo creda in apertura di credito. Da quando è morto mio figlio ho ripreso ad aver paura del buio, ho una strafottutissima paura di restare da solo, parlo con gli angeli (ma a volte bestemmio) e credo in Babbo Natale. Già. Spero che un giorno Babbo Natale mi porti sotto un albero natalizio ideale (perché da dieci anni non lo addobbo più) quella giustizia fin qui negata, quella verità sottaciuta, quell’ammissione di colpa da parte delle istituzioni nella gestione di un fenomeno dalla triste nomea: le baronie universitarie”.

“Da dieci anni il Natale per me è un inferno; da dieci anni è la luce riflessa della morte e della solitudine; da dieci anni, il Natale, è una lama di ghiaccio che si conficca nelle mie carni; un bisturi chirurgico che fa a lacerti le mie viscere in una surreale autopsia mentre sono ancora in vita. Una vita meramente biologica, è chiaro, perché la mia vita affettiva, spirituale, sociale si è spenta quel 13 settembre del 2010. Se pensa che siano esagerazioni, lo chieda a Michele Vecchione, padre di Luigi (posso mettervi in contatto), il brillante ingegnere meccanico morto suicida (come Norman) dopo aver denunciato – inascoltato – brogli e intrallazzi. Dopo aver denunciato pubblicamente all’Autorità anticorruzione e alla polizia di Frosinone. Altra bella storia, vero? Parli con Michele Vecchione, se non vuole parlare con me”.

Norman Zarcone bambino

Vede quel bambino che dorme nella foto? È mio figlio Norman. Il mio sangue. Il corpo che non potrò più amare, abbracciare. Il corpo che per codardia non ho avuto la forza di riconoscere nei suoi troppi brandelli. Il regalo che non potrò più fare a Natale. Presidente, so già che il mio Babbo Natale non verrà. So già che il lasciapassare internazionale a lui non verrà concesso. Egli, il mio Babbo Natale, rimarrà in lockdown perché, come tuonava opportunamente Giordano Bruno, “è un’ingenuità chiedere al potere di riformare il potere”. Buon Natale Presidente, ma si ricordi: ci vogliono più palle per sopravvivere a certe tragedie, che per addobbare un albero di Natale…”.

Claudio Zarcone