Ci perdonino i tifosi di Maradona se andiamo controcorrente, ma confessiamo che il loro idolo non ci ha mai emozionato. Neanche quando ha fatto il gol di mano o quando ha segnato quella rete pazzesca all’Inghilterra o quando ha realizzato quelle giocate strabilianti.

È stato il più grande calciatore di tutti i tempi – secondo noi più grande di Pelé – ma lo abbiamo sempre visto come un pessimo esempio per i giovani, ed è per questo che non ci emoziona.

Apparteniamo a una generazione troppo romantica e troppo convinta che il calcio non possa essere scisso dalla dimensione etica di un campione. I nostri campioni si chiamavano Riva, Facchetti, Anastasi, Mazzola, Rivera, Tardelli, Zoff: gente semplice e di poche parole, figlia di un mondo contadino abituato alle rinunce, ai sacrifici, ad andare a letto presto, a considerare la droga (e la mafia che guadagna miliardi col suo commercio) per quelle che sono: cose che fanno schifo e da cui stare lontani.

Per Maradona non è stato così. La pressione dei tifosi, la giovane età, l’ingenuità, sono attenuanti che ci stanno, ci fanno anche provare molta pena, ma per favore non parlateci di emozione.

Che emozione può esserci se una finta, un dribbling, una mezza rovesciata, una vittoria sono contaminati da certi effetti psichedelici della cocaina? Mancano gli elementi fondamentale per l’emozione: l’autenticità e la verità. Maradona è diventato un idolo perché era straordinario, certo. Ma c’è un motivo più profondo per il quale è stato osannato dalle folle: ha incarnato il sogno di Davide che vince contro Golia. La squadra del profondo sud come Napoli che surclassa il simbolo della ricchezza come la Juventus di Agnelli, l’Argentina delle favelas che batte l’Inghilterra della regina Elisabetta (con la quale, pochi anni prima, è stata in conflitto per le isole Falkland per gli inglesi, o Malvinas per gli argentini), è stato bellissimo se non fosse stato per un “piccolo” particolare: Davide contro Golia aveva vinto senza trucchi.

Si dirà – giustamente – che il calcio è pieno di doping e che in fondo Maradona è stato un capro espiatorio. Sarà. Infatti il calcio di oggi – è una idea personale – non è il calcio emozionante che amiamo noi. 

La vittoria dell’Italia ai Mondiali dell’82 fu bella per questo: eravamo dati per spacciati fin dal primo turno e invece vincemmo contro l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico. Senza doping.

Sapete cosa che ci fa battere il cuore quando vediamo Maradona? Quel filmato in bianco e nero che lo ritrae (avrà avuto quattordici anni) mentre palleggia in un campetto in terra battuta nei sobborghi di Buenos Aires. Quando smette, all’intervistatore confessa: “Il mio sogno più grande? Partecipare ai Mondiali e vincerli”. Quei pochi secondi fanno vibrare le corde più sensibili, perché vedi che tutto è autentico: l’ingenuità, le baracche, la polvere, il sogno.

Che tristezza quando, qualche anno dopo, vedi quella stessa persona festeggiare lo scudetto assieme ai boss più efferati della camorra napoletana, che tristezza quando, anni dopo, lo vedi barcollare perché la cocaina lo ha distrutto.

Dispiace dirlo perché vogliamo bene a Maradona per la sua generosità e la sua vulnerabilità, ma temiamo che Diego, col suo esempio, abbia dato un contributo esiziale per lo sdoganamento della cocaina fra i ragazzi, al punto che ormai è quasi “normale” farne uso durante una festa, con lo Stato che sta a guardare, senza fare una campagna seria contro quasiasi tipo di droga.

Non solo Maradona, purtroppo, ma Maradona – con la sua sensibilità – avrebbe avuto il tempo, il modo e la possibilità di invertire la rotta andando nelle scuole, nelle parrocchie, in televisione per affermare: “Mi sono disintossicato, ma ci sono passato, e vi dico che la droga è brutta. Tutta: dalla sigaretta all’alcol, dalla cocaina all’eroina alla marijuana. Se vi avvicina uno spacciatore mandatelo a quel paese e denunciatelo. E poi fate sport, fate l’amore, innamoratevi, inseguite i vostri sogni, vivete la vostra vita”. Che emozione Maradona se avesse fatto questo!

Nella foto: Diego Armando Maradona

Luciano Mirone