Il fatto lo conosciamo tutti. Sui social rimbalzano le immagini dei protagonisti: la vittima e i suoi aguzzini. Willy e gli assassini. Basterebbe osservare soltanto quelle fotografie per farsi un’idea. Da una parte un ragazzino sorridente con un papillon fuori tempo, una faccia pulita, gli occhi vivi che guardano al futuro. Ti sembra di vederci dentro i progetti, i sogni, il lavoro, lo studio, il calcio. Per qualcuno è soltanto un ragazzo dalla pelle di un altro colore.

Dall’altra i fratelli senza sorriso, italici machi coi muscoli pompati in bellavista, vestiti di tatuaggi e pezze pacchiane firmate dai guru del nulla, le facce torve, volutamente minacciose, gli occhi vacui che guardano verso il vuoto. Né passato, né futuro: solo squadristi del nuovo millennio.

Non ci vuole molta fantasia a immaginare la violenza bestiale su un corpo inerme, reo di aver difeso altri malcapitati, ancor più reo per il colore dell’epidermide. E poi i vigliacchi scappano, bevono, postano su facebook e non è difficile immaginare che si siano compiaciuti dell’impresa.

Domani gli schermi ci mostreranno immagini di altra cronaca e di questi energumeni non ce ne ricorderemo. Eppure il sorriso di Willy fa male. Morire a vent’anni, senza motivo, fa male. Non è il primo e non sarà l’ultimo. I protagonisti di questa storia, la luce e il buio che emerge dai loro volti sono un monito: qualcosa non funziona, una melma oscura si aggira per il Paese.

No, non è solo cronaca: è una questione culturale, sociale e politica. Se tuo figlio non torna a casa, e non ci tornerà più, perché è stato massacrato di botte per aver difeso qualcuno, qualcosa non sta funzionando. Se i tuoi figli tornano a casa e dormono tranquilli, dentro ai loro letti, dopo aver ammazzato un ragazzo di vent’anni, qualcosa non sta funzionando. Se i tuoi figli, col telefonino in mano, si complimentano con degli assassini evidentemente qualcosa non sta funzionando.

Invece di gridare alla pena di morte o auspicare che si buttino le chiavi della cella occorre fare una riflessione più profonda. Chiedersi il perché e capire come cambiare rotta. Come si fa a combattere l’ignoranza e l’odio quando la famiglia non ce la fa, la scuola non basta più, la società sembra perdere i valori e pure certa gente che sta dentro il Parlamento istiga all’odio razziale usando tutti i media a disposizione?

Questo non è solo un fatto di cronaca di cui indignarsi, è qualcosa di più terribile e doloroso. Che entra nelle nostre case, che macchia il futuro dei nostri figli.

Marina Mongiovì