“Chiudo la mia azienda di ripopolamento del coniglio selvatico in Sicilia perché mi sono stancato di condurre una battaglia sfiancante contro i mulini a vento che si annidano all’interno della Regione”.  È tranchant Nunzio “Nuccio” Castro, un imprenditore di Belpasso (Catania) che ha investito “molti soldi, molto tempo e molta salute” in un’azienda preposta all’incremento della fauna selvatica nell’isola.

Castro parla di “patto scellerato tra funzionari dell’Assessorato Agricoltura e Foreste e delle Ripartizioni Faunistico Venatorie” contro la sua attività che da decenni opera in questo settore in Sicilia orientale. Accusa certi uffici della Regione di “azioni persecutorie” a suo danno da oltre 20 anni a questa parte. Denuncia fatti gravi, tirando in ballo qualche funzionario regionale che, “per tramite del dirigente del gruppo caccia” e addirittura “dell’assessore regionale Agricoltura e foreste”, “in occasione dello stanziamento di 200mila Euro (solo l’ultimo episodio di una lunga serie, secondo il denunciante, ndr.), da utilizzare per il ripopolamento del coniglio selvatico nel territorio regionale, ha impedito che tali somme fossero spese per il ripopolamento, e sono state invece assegnate” a certe associazioni, che, secondo Castro, sarebbero vicine a determinati ambienti, “dando l’ultimo colpo di grazia allo scrivente che si è visto costretto a chiudere definitivamente l’Azienda ”.

Un cacciatore in Sicilia. Sopra: un esemplare di coniglio selvatico

Così Nuccio Castro ha preso carta e penna e ha scritto un esposto alla Procura della Repubblica di Catania. Castro si definisce “vittima da oltre un ventennio di azioni persecutorie volte al massimo danneggiamento nei miei confronti”, con “grave danno e pregiudizio economico, morale e psicologico”.

Parla a ruota libera e in questa intervista coinvolge “la sinistra” e “diversi settori della destra”, colpevoli, a suo dire, di opporsi a un “sano equilibrio fra le esigenze dei cacciatori e a un ripopolamento faunistico necessario per fare sopravvivere il coniglio selvatico”. Ma nel suo caso – a prescindere dalle accuse e dal modo di pensare – il punto è se è stata o meno rispettata la legge che regolamenta il comparto.

Castro, lei di recente ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Catania. Può parlarne?

“Dal 1995 c’è una vera e propria battaglia contro l’assessorato regionale Agricoltura e foreste. L’ultima è quella che riguarda un finanziamento di 200 mila Euro destinato al ripopolamento del coniglio selvatico. Ebbene: questi soldi sono stati distolti per il ripopolamento faunistico e sono stati destinati ad altro”.

Lei è un imprenditore di quale settore?

“Venatorio. Ho un centro di produzione di selvaggina e una Zona addestramento cani (Zac) riconosciuta da molti anni: in questi spazi si può fare attività venatoria anche nei periodi in cui la caccia è chiusa”.

Quindi mettiamola così: a chi dice che ha fatto bene la Regione a stornare questi soldi, poiché non è giusto uccidere il coniglio selvatico, specie quando la caccia è chiusa, lei cosa risponde?

“Che a prescindere da come ognuno la può pensare, c’è la legge che stabilisce il ripopolamento del coniglio selvatico: la 157 del 1992 a livello nazionale, e la 33 del ’97 a livello regionale. Solo che la Sicilia è carente nell’applicazione. Evidentemente il problema non sono i pesticidi e gli antiparassitari, di cui si parla poco, ma la caccia. Ironia a parte, qui le cose sono due: o aboliamo la legge oppure la applichiamo. Perché questa legge si porta dietro degli investimenti notevoli e dei posti di lavoro: una volta in Sicilia operavano 80 aziende riconosciute come la mia, oggi praticamente è tutto chiuso, ma la caccia rimane aperta. Mi sembra un controsenso”.

Lei sta lanciando un’accusa alla Regione Sicilia, specie a qualche funzionario e alla politica.

“Spiego anche il perché: la caccia è diventata impopolare, poiché secondo un certo pensiero corrente non rispetterebbe gli animali. Io invece dico che gli animali devono essere rispettati, però mi chiedo se lo stesso ragionamento si applica per gli allevamenti intensivi di carne o di pesce o per la pesca indiscriminata che ha depauperato il mare. La verità è che il politico di turno, sia di destra sia di sinistra, non vuole farsi vedere a favore della caccia perché dal punto di vista elettorale questo non paga”.

Eppure l’ex governatore della Sicilia Totò Cuffaro si interessò al problema.

“Cuffaro sbloccò una gara e intraprese un’azione di ripopolamento faunistico, da assessore e da presidente della Regione. Stessa cosa fece l’ex assessore Giuseppe Castiglione”.

Scusi Castro, ma se lei dice che chiude l’azienda perché ha presentato un esposto in Procura?

“Perché ritengo doveroso denunciare quello che ho subito in questi anni, anche se alla fine hanno vinto loro che sono riusciti a farmi chiudere”.

Che azienda è la sua?

“Un’azienda produttiva ubicata in territorio di Ramacca (Catania), con 4 dipendenti e un’estensione di circa 40 ettari. Fino agli anni ’90 si fatturavano circa 400 milioni l’anno di vecchie lire. Poi, tranne il periodo di Cuffaro e Castiglione, è stato un disastro. Purtroppo non si capisce che se scompare il coniglio selvatico si estingue un eco sistema legato ad esso”.

Come vive se ha deciso di chiudere l’azienda?

“Riesco a campare perché comunque, in campagna, lavoro nel settore della produzione del grano. Ma i danni che mi hanno causato sono incalcolabili. Molti imprenditori si sono ridotti sul lastrico. Nel frattempo pago regolarmente le tasse, l’Inps e tutto il resto. E il coniglio selvatico si depaupera sempre più, sia perché non vengono immessi nuovi esemplari, sia a causa delle malattie”.

Fino ad alcuni anni fa, come detto, erano 80 le aziende che lavoravano in questo ambito. E ora?

“Solo due. Come chiudo io ne resterà una, nel trapanese”.

Luciano Mirone