Solo poche settimane fa, Freedom Square, la piazza di Valletta su cui domina il Parlamento maltese, era gremito da manifestanti che si gridavano in coro “Black lives matter”, dal nome del movimento attivista internazionale impegnato nella lotta contro il razzismo. Eppure sembra che l’antirazzismo e l’indignazione siano stati validi per solo per pochi giorni.

Infatti, mentre Malta e Libia continuano i loro accordi per il controllo del Mediterraneo, nel tentativo di arginare la tratta di esseri umani condotta da scafisti senza scrupoli, sull’isola il numero di arrivi di migranti è sempre in aumento, e lo spazio nei centri di prima accoglienza si sta esaurendo. E quando i centri traboccano letteralmente di persone, i migranti incapaci di permettersi un alloggio sono costretti a dormire per strada, scegliendo una sistemazione presso le porte di Valletta. Secondo frammentari racconti, qualcuno più fortunato è riuscito a dormire e mangiare presso le abitazioni di amici e già alla fine di giugno ad alcuni migranti – sfrattati dall’hotspot di Halfar Far – era stato offerto un letto da campo in un rifugio di fortuna sotto un tendone allestito in un campo di calcio, nella località di Marsa.

Ma c’è ancora un grosso gruppo, accampatosi negli ultimi due giorni, che chiama tristemente “casa” qualche panchina all’ingresso della città – portando tutti i loro averi in una singola borsa – proprio di fronte alla grande Fontana dei Tritoni, simbolo della Capitale, e che questa volta fa da scenario ad un lenzuolo bianco che recita: “Siamo espulsi dal centro di immigrazione e non abbiamo alloggi. Questo è il nostro problema”.

La redazione del quotidiano maltese “Times of Malta” ha raccolto la testimonianza di due giovani eritrei – entrambi ventenni, John e Shiden -, i quali facevano parte di un gruppo che fu portato nel centro di prima accoglienza di Halfar, lo scorso settembre, dopo aver lasciato la loro terra d’origine anni fa, in fuga da trattamenti disumani in ogni paese che attraversavano.

I due ragazzi erano arrivati ​​a Malta il 5 giugno 2019. Quel giorno – uno dei giorni più intensi degli ultimi anni per gli arrivi di migranti – più di 370 persone erano sbarcate, dopo essere state salvate in mare dalle forze armate. La storia di John è il racconto drammatico di un ragazzo che prima presta servizio nella guardia nazionale, poi parte per il Sudan, dove viene derubato di tutti i suoi averi; viene introdotto clandestinamente in Libia, dove, come Shiden, viene usato come “merce di scambio” dai trafficanti di esseri umani.

“I trafficanti avrebbero riscosso un riscatto dalle nostre famiglie, che avrebbero sicuramente venduto tutti i loro beni e terreni in Eritrea per pagare la nostra liberazione”, dichiara John. Ma invece di essere rilasciati, vengono venduti ad un secondo trafficante. Alla fine i due giovani riescono a fuggire dalla Libia.

Sbarcati a Malta viene detto loro che avrebbero avuto un alloggio per un anno e durante quel periodo, avrebbero dovuto trovare un lavoro per la loro sussistenza. Poi c’è stata la pandemia di CoronaVirus: a soli nove mesi dalla loro permanenza presso il centro d’accoglienza, sono stati sfrattati per fare spazio ai nuovi arrivati.

“Non siamo nessuno. Senza uno status non siamo nulla. Chiediamo alle autorità di farci sapere della decisione sulla nostra domanda di asilo ”, dice Shiden fuori dalle porte di La Valletta, dove, fino alla notte del 2 luglio, in molti hanno trovato rifugio.

I richiedenti asilo sono generalmente ammessi nei centri d’accoglienza per un anno (secondo l’accordo con l’Agenzia per il benessere dei richiedenti asilo). Durante questo periodo devono trovare un lavoro finalizzato alla loro sopravvivenza e trovare anche un proprio posto dove poter vivere, integrandosi con la comunità, lasciando il posto ai continui nuovi arrivati.

Allo stato attuale, solo un numero limitato di richiedenti asilo, principalmente quelli con status di rifugiato e protezione sussidiaria, beneficiano di sussidi governativi per il pagamento di un affitto, ragion per cui, alcuni rimangono a lungo in centri aperti non per scelta, ma semplicemente perché non possono andarsene.

Le persone hanno un disperato bisogno di trasferirsi: molti hanno un lavoro, ma non una paga sufficiente per coprire l’affitto o non una garanzia di lavoro a lungo termine. Secondo quanto dichiarato dai due giovani eritrei, molti dei compagni accampati alle porte di Valletta non avevano nemmeno fatto richiesta di “asilo politico”: ciò comporterà l’impossibilità di identificazione, invece che consentirebbe loro di garantirsi un lavoro o un alloggio.

Ma fare dei migranti persino dei senzatetto non è di certo una soluzione plausibile, ed il popolo maltese dovrà fare i conti con tutto questo.

Valentina Contavalle