Il processo che “non c’è” sta per concludersi. Si chiama “’Ndrangheta Stragista” ed è in corso da tre anni ormai a Reggio Calabria. Però, come cantava per la sua isola Bennato, “nessuno lo sa”. Così esordisce Marco Lillo sul Fatto quotidiano di ieri nel raccontare – dal versante calabrese, non solo siciliano, come è avvenuto finora – i retroscena delle stragi del 1992-1993, con l’inquietante presenza di una inedita classe politica che sostituisce la vecchia e che si presenta come “il nuovo che avanza”. Un processo che sembra la fotocopia del processo Trattativa, ma con un protagonista in più: la ‘Ndrangheta calabrese. 

Lillo tratteggia una nuova mappa del potere attraverso questo dibattimento di cui nessuno parla. E scrive: “Il pm Giuseppe Lombardo sta cercando di ricostruire nella sua requisitoria un pezzo di storia d’Italia. Nonostante questo, o forse proprio per questo, non ne parla nessuno. Il pm ha messo in connessione per la prima volta le bombe e gli attentati di Cosa Nostra nel 1992-93 con gli omicidi e le stragi ai danni dei Carabinieri nel 1993-94 della ’ndrangheta”.

“Per il pm – si legge – c’era una strategia unica nazionale con obiettivi politici e non militari: mafia e ’ndrangheta puntarono prima sulle leghe meridionaliste vicine alla massoneria e poi, visto che ‘bisognava trovare delle alternative più solide, si virò come ha raccontato nel processo Giuseppe Graviano su Forza Italia e quindi sulla figura di Silvio Berlusconi”.

“La politica – descrive Lillo – è lo sfondo, non il merito del processo. Alla sbarra ci sono i due boss (il siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Santo Filippone) accusati di un duplice omicidio dei Carabinieri Fava e Garofalo, il 18 gennaio del 1994 e poi di altri attentati falliti contro i Carabinieri, sempre in Calabria”.

“In realtà – dice il Fatto quotidiano – nel processo è in gioco molto di più. Lo scenario è lo stesso descritto nella sentenza di primo grado del Processo Trattativa (è in corso l’appello) per condannare anche l’ex senatore di FI Marcello dell’Utri”.

“Dopo le stragi dei primi mesi del 1992 – prosegue il quotidiano diretto da Marco Travaglio – , dopo l’avvio della ‘Trattativa’ con i Carabinieri del Ros nel 1992, Cosa Nostra continuò la strategia stragista facendo saltare in aria via D’Amelio a Palermo, via Fauro a Roma e via dei Georgofili a Firenze e poi via Palestro a Milano e le basiliche romane di San Giovanni e San Giorgio al Velabro nel 1993. La strategia stragista doveva proseguire – dopo la strage e gli attentati calabresi – con il gran botto dello stadio Olimpico il 23 gennaio 1994, a Roma-Udinese. Il nostro Antonio Padellaro ha dedicato un bellissimo libro a quella giornata da lui vissuta in prima persona: La strage e il miracolo, in edicola e in libreria con Paper First”.

“Parallelamente – seguita Lillo – c’era una strategia politica, condivisa anche dalla ’ndrangheta. Il pm Lombardo ha ricordato che il Pds, l’ex Partito Comunista guidato da Achille Occhetto, nel 1993 era a un passo dal vincere le elezioni. Il 23 gennaio ’94 doveva esserci l’attentato all’Olimpico e Lombardo nella sua requisitoria si è chiesto: ‘Non è che la fretta di Graviano per portare a termine il fallito attentato all’Olimpico era legata al fatto che la settimana dopo sarebbe stata annunciata la discesa in campo di Berlusconi?”.

“Il 26 gennaio – racconta il giornalista – scende in campo Silvio Berlusconi e, per il pm Lombardo, ‘verosimilmente tra il 23 ed il 30 gennaio 1994 in Italia doveva succedere qualcosa’. Poi il pm – sottolinea Marco Lillo – ha aggiunto un’allusione: ‘Se tra il 23 e il 30 gennaio doveva succedere qualcosa, Graviano lo sapeva e per questo aveva fretta. La distanza tra il bar Doney e l’hotel Majestic è di 120 metri. Come direbbe (Carlo, Ndr) Lucarelli: questa è un’altra storia. Ma non è un’altra storia”.

“Lombardo – spiega il quotidiano romano – allude al fatto che l’incontro durante il quale il boss Giuseppe Graviano incaricò Spatuzza (secondo il racconto del pentito) della strage allo stadio e svelò il movente ‘politico’ e il collegamento agli omicidi fatti dai calabresi avvenne in via Veneto al Bar Doney. Spatuzza data quell’incontro pochi giorni prima del 23 gennaio. Lombardo allude quindi a quei 120 passi che separano il Doney dal Majestic perché proprio all’hotel Majestic di via Veneto il 18 gennaio 1994 dormiva Marcello Dell’Utri, a Roma per preparare il debutto di Forza Italia”.

“Una coincidenza – fa notare il cronista – che Lombardo ha richiamato con la battuta in stile Lucarelli senza però affondare il colpo”.

“Comunque – annota Lillo – il 27 gennaio i boss Giuseppe e Filippo Graviano sono stati arrestati a Milano e le stragi si sono fermate. Il pm Lombardo ha ricordato che un mese dopo, il 24 febbraio 1994, durante un processo il boss della ’ndrangheta Pino Piromalli chiese di fare dichiarazioni spontanee e disse: ‘Voteremo Berlusconi’. Il pm ha incrociato quell’endorsement del ‘94 con un’intercettazione dell’inchiesta ‘Rinascita-Scott’ del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri”.

“L’ex senatore Giancarlo Pittelli – ricorda il Fatto quotidiano – il 20 luglio 2018, dopo aver letto, proprio sul Fatto, un articolo sulla motivazione della sentenza Trattativa disse: ‘Berlusconi è fottuto’. Al suo interlocutore poi spiegò che ‘la prima persona che Dell’Utri contattò per la formazione di Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro”.

“Il 10 luglio – conclude Marco Lillo – il pm terminerà la sua requisitoria. Antimafia Duemila e le Agende rosse di Salvatore Borsellino hanno organizzato una manifestazione di solidarietà per il 10 a Reggio per non far sentire solo il pm del processo scomparso dai media”.

Redazione