Due zingare si spacciano per volontarie Unicef, stazionano davanti all’ospedale Garibaldi del quartiere Nesima a Catania per raccogliere i soldi – con tanto di fogli per le firme, contrassegnati dal logo del Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia – destinati, a loro dire, ai bambini portatori di handicap, e nel giro di qualche era racimolano 300 Euro. 

I Carabinieri della Stazione di Catania Nesima hanno denunciato due donne, una di 21 e l’altra di 37 anni, di etnia ROM, entrambe domiciliate in un campo nomadi sito in viale Kennedy, perché ritenute responsabili di esercizio molesto di accattonaggio in concorso.

La vicenda, scrivono i Carabinieri, che potrebbe essere facilmente qualificata con banali definizioni e luoghi comuni, si è svolta nei pressi dell’ingresso dell’ospedale Garibaldi di Nesima. I militari avevano già in precedenza ricevuto numerose segnalazioni circa la presenza di nomadi che, con richieste di denaro, infastidivano gli utenti dell’ospedale.

Nel loro servizio di controllo del territorio, pertanto, hanno effettuato un rapido passaggio presso il Garibaldi notando, a distanza, la presenza delle due donne che avvicinavano i passanti. Immediata la loro identificazione ma, a dire il vero – si legge nel comunicato – i militari sono stati colpiti dalla particolare intraprendenza delle due le quali, spacciandosi per operatrici volontarie dell’UNICEF, erano riuscite a racimolare nel breve volgere di qualche ora la ragguardevole somma di quasi 300 euro, attraverso le donazioni di ignari cittadini, finalizzate all’assistenza di bambini portatori di handicap.

“Resta da comprendere – dicono i militari dell’Arma – se i donatori avessero inteso destinare la somma per il lodevole scopo benefico prospettatogli dalle due abili imbonitrici, oppure per “tacitare” le medesime con “l’offerta” nella speranza di potersi dedicare serenamente ai propri impegni”.

La somma ricevuta veniva accuratamente descritta con l’apposizione del nome e cognome del donatore il quale veniva invitato a sottoscrivere il foglio come a sigillare “con quell’aura di formalità – si legge – quella che, di fatto, non era nient’altro che un’elemosina ottenuta con l’inganno il cui frutto, però,  non è neanche stato trovato nelle tasche delle due nomadi che, com’è ragionevole supporre, l’avevano già consegnato ad un terzo complice”.

Nella foto: alcune firme raccolte a nome dell’Unicef

Redazione