“Elucubrazioni mentali della Commissione antimafia siciliana”. L’indagine bis sull’attentato Antoci chiesta dall’antimafia regionale alla Procura della Repubblica di Messina per approfondire i retroscena di questa storia, approda ad una archiviazione bis, ma con questa conclusione. Risultato: mentre la Commissione antimafia “elucubra”, sui mandanti e sugli esecutori che la notte del 18 maggio 2016 tentarono di uccidere l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, si continua a brancolare nel buio. 

 “La Commissione antimafia siciliana – scrive oggi Nuccio Anselmo sulla Gazzetta del Sud – dopo essersi occupata dell’attentato mafioso all’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci aveva chiesto che s’indagasse ancora. E la Procura di Messina retta da Maurizio De Lucia lo ha fatto”, acquisendo fra l’altro (“grazie alla polizia giudiziaria”) la relazione finale con tutti i suoi allegati, comprese le “tre ipotesi”, in cui si teorizzava una “messinscena”.

Il provvedimento di archiviazione è stato firmato dal gip di Messina Simona Finocchiaro che – prosegue Anselmo – accogliendo la richiesta del sostituto della Dda Fabrizio Monaco, bolla le tesi dell’organo regionale come “pure elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio”, affermando poi che “la conclusione raggiunta dalla Commissione (ossia che l’ipotesi dell’attentato mafioso sia la meno plausibile) appare preconcetta e comunque non supportata da alcun dato probatorio”.

Nel provvedimento di archiviazione dell’inchiesta bis, prosegue la Gazzetta del Sud, “dopo aver ancora una volta ricostruito l’attentato e la minuziosità delle indagini, il gip esamina innanzitutto le presunte contraddizioni delle dichiarazioni rilasciate in audizione da Antoci, dal sindaco di Cesarò, Calí, e dell’allora vice questore Daniele Manganaro, l’uomo che durante l’agguato con il suo intervento salvò la vita all’ex presidente del Parco dei Nebrodi”.

“Quella sera – ricostruisce Anselmo – i tre cenarono insieme, a Cesarò, prima che i killer entrassero in azione”. I magistrati messinesi concludono che “si tratta di circostanze afferenti percezioni personali che, verosimilmente, possono essere state oggetto di una rivalutazione alla luce del grave atto di violenza successivamente posto in essere ai danni dell’Antoci e che comunque non offrono significativi spunti d’indagine ai fini dell’individuazione degli autori del fatto violento”.

Poi il gip Finocchiaro – seguita il quotidiano messinese – prende in considerazione l’operato degli uomini della scorta di Antoci, che secondo la Commissione antimafia furono contraddistinte da una “mancata osservanza dei protocolli operativi”. E su questo punto, conclude che “tale critica all’operato della scorta appare fine a sé stessa e ininfluente sulla direzione delle indagini”, anche perché “… sia il Santostefano che il Manganaro hanno fornito una giustificazione logica e credibile al loro operato”.

“Non si comprende – scrive il Gip – per quale motivo la Commissione abbia assegnato valenza probatoria prevalente alle dichiarazioni del Dott. Ceraolo, all’epoca dirigente del Commissariato di Barcellona P.G., ponendole come base per contestare l’esito delle indagini”.

“Le contestazioni mosse dalla Commissione – seguita il Giudice per le indagini preliminari – non hanno fornito utili o nuovi spunti investigativi, limitandosi ad introdurre la suggestione che non si sia trattato di un attentato quantomeno con modalità mafiose, o addirittura che l’attentato fosse una messinscena”.

Ma c’è dell’altro, conclude Nuccio Anselmo. “Con la discovery degli atti si scopre ora che proprio l’ex vice questore Mario Ceraolo è stato indagato in tempi diversi dalla Procura di Messina, tra il 2017 e il 2019, per depistaggio e rivelazione di segreto d’ufficio”.

Luciano Mirone