La seconda sezione della Corte di assise d’appello, presieduta da Fabio Marino, ha confermato la condanna a 30 anni dei boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia per l’omicidio di Lia Pipitone, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Rita Fulantelli. Rosalia Pipitone, detta Lia, morì crivellata di colpi il 23 settembre del 1983 a Palermo, all’età di 25 anni. La morte della figlia del boss dell’Arenella, Antonino, avvenuta nel corso di una rapina in farmacia, rimase avvolta dal mistero per oltre 30 anni.

Il 23 giugno 2016, durante la prima udienza del processo per l’omicidio della donna, arrivò la rivelazione choc del pentito Francesco Di Carlo che segnò una svolta nel caso, secondo il quale Lia Pipitone sarebbe stata assassinata perché non avrebbe voluto troncare una relazione extraconiugale.

“Era nata per la libertà ed è morta per la sua libertà”, rivelò il collaboratore di giustizia. La rapina, quindi, sarebbe stata una messinscena e sarebbe servita a nascondere un delitto premeditato. L’obiettivo era infatti quello di eliminare Lia, “colpevole” di avere disonorato il padre-boss Nino Pipitone, allacciando una relazione extraconiugale mentre aveva un bambino ancora piccolo.

Dopo un primo processo conclusosi con l’assoluzione definitiva di suo padre, poi sono andati a giudizio i boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia. I due furono condannati nel luglio 2018 a 30 anni di reclusione. Condanna confermata adesso dalla seconda sezione della Corte di assise d’appello.

Ansa