A Paternò (Catania) il Partito democratico è nella bufera per una spaccatura senza precedenti dovuta all’elezione del nuovo segretario di sezione Salvatore “Turi” Leonardi, ritenuta “illegittima” dall’altro gruppo (“Rinasce il Partito democratico per far rinascere Paternò”) che fa capo al giovane Giuseppe Giudice, il quale, in occasione del congresso dello scorso 27 maggio ha presentato una candidatura alternativa a quella del neo segretario, risultata sconfitta per una serie di presunte “irregolarità” (così vengono definite) che sarebbero state commesse dal presidente Giuseppe Pappalardo, “il quale – secondo quanto viene scritto – è anche candidato unitario del circolo di Biancavilla, dove è stato eletto poco prima segretario”, nonché “consigliere comunale di Biancavilla dal 2011, Comune in cui opera Leonardi come dirigente”.

Per questo si parla insistentemente di ricorsi ai garanti del partito per invalidare l’elezione e, se questi non dovessero essere presi in considerazione, “si deciderà il da fare”.

Il clima è molto rovente, e a nulla – almeno fino a questo momento – è valso il tentativo di riconciliazione da parte del nuovo segretario per cercare un clima unitario. Alla base – secondo quanto si apprende – ci sarebbero due modi diversi di concepire la politica. Il gruppo Giudice contesta ai vertici del partito di aver subìto un segretario imposto dall’alto, nell’ambito degli accordi stipulati di recente fra Anthony Barbagallo e Angelo Villari, neo segretari del Pd, rispettivamente in Sicilia e in provincia di Catania, mentre il gruppo Leonardi sostiene la legittimità dell’elezione, in quanto, a suo dire, svoltasi in modo regolare.

Ma se nei giorni scorsi la tensione si avvertiva nell’aria, oggi che gli organi del partito non hanno risposto alla richiesta di “accesso agli atti” inoltrata dal Gruppo Giudice (ritenuta importante sul piano della trasparenza), si taglia col coltello. Nella scorsa mezzanotte infatti sono scaduti i fatidici dieci giorni previsti dallo Statuto affinché i vertici del partito concedessero il nulla osta per studiare le carte, un accesso che il “gruppo Giudice” ha chiesto per prendere in visione i documenti relativi al Congresso, in modo da dimostrare l’eventuale illegittimità dei lavori.

Ma perché l’ala “progressista” del partito contesta l’elezione di Leonardi, al punto da chiedere di invalidarla? Vediamolo attraverso una Memoria stilata dalla stella per gli avvocati di fiducia del gruppo (segno evidente che qualcosa bolle in pentola nel Pd di Paternò), con la quale il gruppo sconfitto ha ricostruito i punti più salienti della votazione.

Premessa. Quest’anno a causa dell’emergenza Covid-19, i Congressi locali del Pd si sono svolti online. Quello di Paternò è stato fissato per le 20,15 del 27 maggio, “sebbene – viene sottolineato – solo a partire dalle 16,10” del giorno prima, gli iscritti “iniziano a ricevere un sms di convocazione”.

“Purtroppo” però, viene denunciato, “non tutti gli iscritti hanno ricevuto la prevista convocazione via sms: tra questi, a mero titolo esemplificativo, i sigg. Carmelo Palumbo e Giovanni Parisi”.

Prima dell’inizio dei lavori, è scritto nel documento, “Il Presidente della Commissione, Giuseppe Pappalardo, non ha identificato i partecipanti al congresso”. E per supportare questa dichiarazione, nello stesso documento vengono citati alcuni articoli dello Statuto, che consentono “la partecipazione degli elettori alle attività dei circoli, ma senza diritto di voto, concesso ai soli iscritti che hanno formalizzato l’iscrizione entro il 7 gennaio 2020”.

Dopodiché lo stesso Presidente, secondo la ricostruzione del gruppo Ricostruiamo il Partito democratico,  “dà la parola all’On.le Anthony Emanuele Barbagallo”, indicato nella Memoria solamente come “deputato regionale”, e non come neo segretario regionale del Pd (ora vedremo perché), il quale “comunica il suo auspicio politico per un esito unitario del congresso cittadino, dichiarando in sintesi che in questi mesi ha operato per il raggiungimento di questo indirizzo”. Per questa ragione, nel corso del suo intervento, Barbagallo esprime “il proprio disappunto per aver appreso che nel congresso di Paternò sono state presentate due mozioni alternative”.

“Quindi – si legge – il presidente porge la parola ad Angelo Villari (anche per lui nella Memoria viene omessa la carica di Segretario provinciale del Pd, ndr.) che, dopo i saluti, esprime un generico invito all’unità per il rafforzamento della Sinistra nel territorio”.

Subito dopo, la prima doccia gelata: “Interviene Parisi, in qualità di iscritto, chiedendo al Garante se i sigg. Barbagallo e Villari sono intervenuti in questo congresso come candidati unitari, rispettivamente alla Segreteria Regionale siciliana e alla Segreteria provinciale di Catania, o sono già nominati in tali ruoli”.

La domanda – in base a quanto deduciamo leggendo lo scritto – sembra buttata lì per caso. In effetti non appare così: “Parisi – è scritto nel documento – motiva la domanda, in quanto il Regolamento prevede che l’elezione congressuale nei circoli avvenga in data antecedente alle elezioni degli organismi regionali e provinciali (art.1 comma 4)”.

“Il Presidente dichiara che la questione posta da Parisi non merita risposta e che lo stesso, col suo intervento, ha esaurito il tempo e la possibilità di dibattere nel congresso”.

Nel corso dei lavori i due gruppi indicano un rappresentante per parte: per la mozione Giudice viene nominato Oscar Fiorito, per l’altra Salvatore Di Caro, ma “quest’ultimo – viene fatto rilevare – non risulta tra gli iscritti al circolo, essendo consigliere ed operando nel comune di Ragalna”. Non è l’unico rilievo che viene fatto in tal senso: “Dalle liste degli iscritti in possesso, non risulta iscritto con diritto di voto Alfredo Corsaro, che nel congresso esprime il proprio voto”. Giuseppe Giudice, si legge, “richiede i criteri di identificazione degli iscritti al voto, ma il Presidente ignora la richiesta”.

Poi – in base a ciò che viene ricostruito nella Memoria – scoppia la bagarre, ovviamente virtuale. Succede dopo che i due candidati presentano le relative mozioni. Dieci componenti del Gruppo Giudice chiedono di parlare, ma “il Presidente, soprattutto per le ripetute richieste dei sostenitori della mozione Leonardi, propone l’avvio del voto, lasciando gli spazi per il dibattito in un momento successivo alla votazione”.

Giovanni Parisi – sostenuto da Signorelli e Palumbo – interviene nuovamente “segnalando al Garante che procedere con il voto senza il dibattito tra gli iscritti viola quanto previsto al comma 7 dell’art. 7 del Regolamento”. Ma il Presidente “senza consultarsi con l’ufficio di Presidenza costituito, decide che il dibattito può tenersi per un tempo massimo di 15 minuti per mozione, compresi i tempi utilizzati dai candidati segretari”. Altre proteste.

Anche perché, si legge, “il Regolamento prevede che i Congressi di circolo durino non meno di un’ora e non più di sei. Agli iscritti è stato violato il loro diritto di partecipazione democratica”. Palumbo, Signorelli e Parisi protestano ancora.

Ma “il Presidente – in base a ciò che viene detto in Memoria – , intorno alle 21,25, senza darne formale comunicazione al Congresso e senza essersi consultato con l’ufficio di Presidenza, espelle dalla piattaforma congressuale Zoom contestualmente Orazio Palumbo, Parisi e Signorelli, inibendo agli stessi sia il diritto di intervento al dibattito congressuale che il diritto di voto”.

In questo clima, “il Presidente dà avvio alla votazione palese dei presenti”. Altro scontro con la presidenza quando, “preso atto delle vistose irregolarità con cui il Presidente conduce la votazione… gli iscritti a sostegno della mozione Giudice abbandonano progressivamente il congresso, astenendosi dal voto”, compreso Fiorito che “abbandona l’ufficio di Presidenza ritenendo irregolari le modalità di conduzione del congresso e del voto da parte del Presidente”. Poco dopo, “conclusa la fase di voto, il Presidente proclama eletto Leonardi.

Due giorni dopo, in una intervista, il Presidente “Pappalardo evidenzia come nel circolo di Biancavilla l’elezione sia avvenuta dopo un ampio dibattito, contrariamente a quanto registratosi nel congresso di Paternò – viene detto dal gruppo Giudice – , in cui il garante ha, per i fatti evidenziati, impedito la partecipazione al dibattito degli iscritti che ne avevano fatto richiesta”.

Luciano Mirone