C’è un tesoro nascosto a Palermo. Monte Pellegrino, che ha affascinato artisti di ogni epoca, luogo mistico e simbolo della città, custodisce, da millenni, delle uniche e preziose testimonianze di uomini del Paleolitico. Le incisioni rupestri delle grotte dell’Addaura e di grotta Niscemi, scoperte a metà del secolo scorso, hanno affascinato gli studiosi di tutto il mondo per la loro straordinaria peculiarità, li ritroviamo sui volumi di storia che studiano i nostri figli, eppure sono chiuse da vent’anni.

Inaccessibili a causa di problemi di sicurezza e gestione legati al rischio idrogeologico di Monte Pellegrino, risalgono presumibilmente a 12mila anni fa e raffigurano la prima scena narrativa corale del Paleolitico, di cui fino ad oggi si abbia notizia. Oltre alle raffigurazioni di animali selvatici, che troviamo a grotta Niscemi, la straordinarietà delle incisioni dell’Addaura sta nella rappresentazione delle figure umane, maschili e femminili, nel corso di una danza rituale. Mistero che ha affascinato ed interrogato gli studiosi per decenni.

Le incisioni della danza rituale presenti nella Grotta dell’Addaura. Sopra. l’esterno della grotta (foto Antonio Randazzo)

Nelle scorse settimane, grazie al comitato “Salviamo le grotte dell’Addaura e Niscemi”, nato da un piccolo gruppo di quartiere, “Valorizziamo l’Addaura”, le grotte hanno partecipato al censimento dei “Luoghi del cuore”, campagna promossa dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), che ormai da dieci anni porta avanti un progetto di sensibilizzazione del nostro patrimonio e dei luoghi da non dimenticare. La campagna social per salvare le grotte è iniziata con i primi appelli online grazie alla Settimana delle Culture e all’associazione Amici dei Musei Siciliani, un piccolo passo è stato fatto anche dal Museo Archeologico Regionale “Salinas”, deputato alla valorizzazione delle grotte, con cui il Comitato ha realizzato una serie di video e una campagna fotografica per consentire la fruizione virtuale delle grotte, diffusi sui social in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia, il 19-21 giugno scorso.

In pochi hanno avuto il privilegio di vedere da vicino le incisioni preistoriche dell’Addaura. Floriana Giallombardo, storica dell’arte e membro del Comitato, ci racconta le sensazioni di questo incontro così speciale: “Ho vissuto la maggior parte della vita sotto le pendici di Monte Pellegrino, respirando questo paesaggio incantevole fra roccia e mare. Ciononostante non ero mai riuscita a vedere le grotte sino all’anno scorso, quando ho accompagnato un’amica preistorista, ottenendo così un’insperata autorizzazione dalla Soprintendenza. Quello che non mi sarei mai aspettata è l’importanza che il contesto ha sulla percezione delle incisioni, sia all’Addaura che a Niscemi. Intanto la grotta è un dispositivo, una macchina della visione molto particolare. Soprattutto a Niscemi, dove la luce naturale entra molto poco, la cosa più emozionante è la ricerca delle incisioni con la torcia, sulle asperità della parete rocciosa. Quando le ritrovi, è come se quegli animali balzassero fuori dalla parete, vivificati dalla luce incerta, quasi in senso cinematografico. All’Addaura invece quello che salta agli occhi è la dinamica verticale del disegno: la composizione, infatti, parte dal basso verso l’alto, culminando nella celebre scena del cerchio rituale. Ma la cosa interessante è proprio questo dinamismo, la processione di uomini e animali che risale, come seguendo le forme della parete rocciosa. E subito si crea un’associazione mentale: anche noi, per arrivare al sito, abbiamo percorso un bellissimo sentiero in salita, con una visuale pazzesca sulla montagna e sul golfo di Mondello. Insomma, andarci è un’esperienza unica, che rende intelligibile il sito nel suo contesto naturale, e che pone moltissime domande su come fossero vissute, percepite in antico queste incisioni”.

Monte Pellegrino, coi suoi ripidi sentieri e le sue grotte carsiche, rappresenta da sempre un importante luogo di culto, è affascinante pensare che questa sua funzione possa addirittura risalire a migliaia di anni fa.

“Monte Pellegrino è quel che amo definire la montagna sacra di Palermo. Vissuta e attraversata da tantissimi pellegrini, è un ‘oltre’ vicinissimo alla città, un luogo dove i ritmi della natura e la spiritualità sembrano a portata di mano. Sono convinta che debba esserci un fondo antropologico in questo percorso ascensionale verso l’eremo della santa, una sorta di archetipo del sacro. Tant’è che la montagna è stata subito adottata da comunità anche molto diverse fra loro che nel tempo si sono inserite a Palermo, primi fra tutti i Tamil e i Sinti, e che hanno riconosciuto in questo luogo un senso di appartenenza comune. Monte Pellegrino è un luogo di aggregazione di tutti i palermitani, un luogo di culto dove si coagulano speranze e ringraziamenti, giardino selvatico dove trascorrere un momento di tranquillità familiare. Sicuramente tutto ciò è molto diverso da quello che doveva essere il promontorio paleolitico, sia per clima, per vegetazione e non ultimo per la fauna che l’abitava, raffigurata proprio nelle incisioni. Resta però la suggestione di immaginare che questo luogo, con le sue pareti rocciose a picco sul mare, che si aprono in misteriosi antri carsici, abbia ispirato il senso del sacro in uomini molto diversi da noi”.

Cosa si può fare affinché un così grande patrimonio non venga lasciato in uno stato di abbandono ma venga valorizzato come merita?

“È una domanda a cui non posso che rispondere col cuore: mobilitarsi! Parlarne, scriverne, ragionarci. Ci sono dei problemi oggettivi su cui occorre chiedere con forza delle soluzioni: in primo luogo il rischio idrogeologico di Monte Pellegrino, che impedisce un accesso in sicurezza alle grotte. Oggi si può entrare solo firmando una liberatoria di responsabilità ma ovviamente le istituzioni tendono a ridurre al minimo questi accessi. Riponiamo tutti molte speranze nella progettazione esecutiva della messa in sicurezza di Monte Pellegrino, partita proprio quest’anno. Si tratta di un patrimonio unico al mondo, che altrove sarebbe rientrato nelle liste UNESCO. Faremmo bene a guardare a siti come Chauvet, Lascaux, Altamira, per immaginare forme di fruizione, anche mediata, che rendano le grotte preistoriche di Palermo presenti e vive per la cittadinanza. La sfida è farle tornare nel cuore e nella mente dei palermitani: renderle fruibili è un preciso dovere che va di pari passo con la loro tutela. Noi siamo qui a chiedere l’aiuto di tutti, studiosi e appassionati, per creare una campagna virale e, perché no, un osservatorio permanente, che aiuti Palermo a ricordare l’importanza di questo straordinario patrimonio. Un primo step sono già i 2000 voti nella campagna i “luoghi del cuore”: i siti che ottengono tale risultato possono far richiesta al FAI di partecipare a una progettazione condivisa, già dal prossimo marzo. Ma le grotte hanno un potenziale pazzesco, con l’aiuto di tutti possiamo senz’altro puntare più in alto”.

Marina Mongiovì