Avvocato Enzo Guarnera, vice presidente dell’associazione Antimafia e legalità, cosa pensa della scarcerazione di diversi detenuti anche pericolosi a causa del Covid-19? 

Il penalista risponde in diretta alle domande del giornalista Umberto Triolo di Radio Fantastica.

“Credo che questa vicenda – dice Guarnera – vada trattata con estrema cautela e con grande equilibrio, perché ho sentito diverse voci assolutamente esaltate. Da una parte giustizialisti, dall’altra soggetti assolutamente permissivisti. E invece penso che una questione come questa vada innanzitutto affrontata seriamente. La novità è una sola: c’è stata una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che ha individuato una possibile, ulteriore criticità all’interno delle carceri a causa della pandemia da coronavirus. Cosa dice il Dap? Nel valutare le istanze di misure alternative al carcere, tenete conto anche il rischio che possono correre i detenuti a causa della pandemia. Dopodiché la normativa è quella che esiste da decenni. Il Governo o il Parlamento non hanno approvato alcuna legge nuova da quando io faccio l’avvocato, cioè da quarant’anni. Intanto questo è un punto fermo. E allora è giusto che i cittadini sappiano qual è la procedura”.

L’avvocato penalista Enzo Guarnera

“La procedura allorché un detenuto chiede la misura alternativa (in questo caso la detenzione domiciliare) è che l’avvocato fa un’istanza al Tribunale di sorveglianza, che è l’unico organo che decide (non decide il Governo, né il Dap: questo è importante dirlo). Il Tribunale di sorveglianza deve fare un’indagine. Che consiste in una richiesta di parere al Pubblico ministero che segue o ha seguito quel detenuto (in questo caso il mafioso che magari è al 41 bis). Il Pm, a sua volta, chiede un parere alla Procura, alla quale trasmette la documentazione che l’avvocato ha allegato all’istanza. Analogo parere viene chiesto al carcere, che risponde con una relazione che è frutto di un’attività collegiale di un’equipe composta dal direttore (che la presiede), uno psicologo, un educatore, un’assistente sociale, un medico”.

“I medici dicono qual è la situazione del soggetto dal punto di vista sanitario. Tutto questo poi va al Tribunale di sorveglianza, che valuta tutti i pareri e qualora l’istanza (come in questo caso) è motivata da ragioni di salute, valuta se queste sono talmente gravi che sconsigliano la permanenza in carcere, in quanto la stessa potrebbe essere dannosa per la vita e l’incolumità del detenuto, ma anche di altri detenuti”.

“Dico di più. Qualora il Tribunale di sorveglianza non si convincesse che le condizioni di salute descritte dai sanitari del carcere siano veramente gravi, può disporre una perizia anche collegiale con medici esperti che visitano il detenuto e possono confermare o meno la valutazione dei sanitari del carcere”.

“Questo per dire che quando si arriva a una decisione di detenzione domiciliare (si chiama ‘detenzione’ quando il detenuto è definitivo, mentre quando non lo è si tratta di ‘arresti domiciliari’) non si arriva per capriccio del magistrato, ma perché c’è stata una istruttoria approfondita”.

“Poi c’è un’altra questione. Cosa deve prevalere fra i due interessi in gioco? Quello del detenuto e della sua salute (anche se il detenuto è in condizioni gravi e quindi l’interesse è quello di non diffondere l’epidemia in carcere), oppure l’interesse della collettività che legittimamente desidera che chi si è macchiato di gravi reati, un boss, deve rimanere in carcere? Questo è il tema”.

Domanda: questa scarcerazione, in realtà, non significa però ritorno alla libertà. Significa che la pena si è trasformata da detenzione in un istituto di pena a detenzione domiciliare, cioè questo soggetto deve rimanere in casa dove vigono tutte le restrizioni previste.

“Normalmente sì. Normalmente – soprattutto quando il soggetto è particolarmente pericoloso – il Tribunale di sorveglianza decide che lo stesso non può parlare con nessuno telefonicamente e non può ricevere nessuno a casa. Può soltanto parlare con i più stretti familiari e con gli avvocati. I quali, sono gli unici che dall’esterno possono entrare in casa del detenuto. In alcuni casi il soggetto viene munito di un braccialetto elettronico che ne monitora gli spostamenti e quindi se dovesse uscire da casa, viene subito rilevato da una centrale che interviene per capire dove si trova e perché è uscito”.

“Quando si tratta di soggetti particolarmente pericolosi che hanno condizioni di salute gravi, la domanda che ci si pone è questa: ma è necessario che vada a casa? Io allora ritengo che vi sia una soluzione che possa contemperare le due esigenze di cui parlavo prima. Non è possibile individuare per questi soggetti altamente pericolosi strutture alternative alla detenzione domiciliare che però consentano una terapia adeguata per le patologie di cui soffrono, impediscono che queste patologie (in questo caso il Covid-19) possano diffondersi all’interno del carcere ordinario? Ora, io credo che esistano (e se non esistono si possono realizzare) strutture di questo tipo, in modo che i grandi mafiosi, se si trovano in condizioni assolutamente precarie, anziché andare a casa, possano andare in queste strutture ed essere curati adeguatamente. Questo tema si è posto alcuni anni fa per Provenzano”.

“Ultimamente gli avvocati del boss Benedetto ‘Nitto’ Santapaola (portatore di una serie di patologie da alcuni anni) hanno presentato un’istanza per il loro cliente, che è stata rigettata. Questo per dimostrare che ogni caso va trattato singolarmente, non si può generalizzare, poiché la patologia di Santapaola è diversa da quella di Zagaria, che il Tribunale di sorveglianza ha mandato ai domiciliari, diversa da quella di Bonura (con un tumore in fase terminale, ed una pena che finisce fra otto mesi), anche lui andato fuori dal carcere in seguito all’emergenza coronavirus”.

“Se queste informazioni non si danno al cittadino, si diffonde ignoranza. E qui me la prendo anche con certa informazione che su questo allarmismo generalizzato, diffonde ulteriore allarmismo. Questi temi si affrontano con equilibrio e con serenità, anche confrontando tesi diverse. Purtroppo il clima nel nostro Paese è quello di strumentalizzare tutto politicamente. Prendersela col Governo o col ministro della Giustizia o col presidente della Repubblica non c’entra niente: sono tutti organi che in questa vicenda non hanno alcuna competenza”.

Sono organi estranei alla vicenda. Però questi organi potrebbero segnare un nuovo corso nella detenzione, avviando delle procedure per la costruzione di nuove carceri?

“Certamente. Non solo, ma bisogna rendere a norma quelle esistenti, perché non tutte le carceri esistenti sono degne di un Paese civile, ma qui ci sono responsabilità storiche di tutti i Governi che abbiamo avuto negli ultimi 30-40 anni”.

E poi, mi permetta, per alcuni reati, bisognerebbe procedere con l’amnistia, per evitare di ingolfare la macchina giudiziaria, già parecchio ingolfata.

“Sono d’accordo, ma ritengo che bisognerebbe depenalizzare una serie di reati per pene brevi di non grandissimo allarme sociale e trasformarle in una penalizzazione di natura economica, che è deterrente di misura maggiore. Come si vede, le responsabilità politiche ci sono, ma sono antiche”.

Redazione