Sono fiero di scambiare due chiacchiere con il catanese Adriano Aiello. Aiello è un attore, un clown, un autore di testi teatrali. Fra i suoi maestri citiamo David Larible, definito dal New York Times “il clown più bravo al mondo”. Aiello è uno fra i sei artisti italiani selezionati dal CirqueDu Soleil e continua a fare parlare di sé grazie alla sua preziosa dote artistica.

Adriano, racconta quali sono i tuoi esordi e come hai capito che, soprattutto la comicità, è la forma d’espressione che più ti appartiene?

“Ho iniziato con una compagnia amatoriale, poi ho capito che la cosa mi piaceva sempre più ed ho iniziato a fare corsi in giro per il mondo. In merito alla comicità, beh da sempre… fin da piccolo, cercavo di far ridere gli altri forse perché inconsciamente sapevo che la risata accomuna, unisce. Si ride sempre in compagnia, si piange da soli”.

Ridere è importante, e questo è un dato di fatto, ma quanto è difficile riuscire a provocare una risata?

“È difficile far sgorgare una risata spontanea, ‘naturale’. Per quella artificiosa ci sono tante tecniche, per quella naturale ci vuole prima il cuore, cioè la volontà di far ridere per provocare benessere negli altri”.

Sei anche autore teatrale, quali ingredienti ti invogliano a scrivere?

“Per scrivere devi avere qualcosa da dire, hai bisogno di comunicare alla gente, altrimenti fai un mestiere diverso”.

A prescindere dai professionisti con i quali ti sei formato artisticamente, quale personaggio del passato consideri un maestro?

“Chaplin per me è il maestro per eccellenza. Nessuno è mai arrivato a sfiorarlo. Comicità e poesia insieme, è di una difficoltà immensa. Devi avere dentro un mondo infinito”.

Hai rappresentato anche ruoli drammatici, come ad esempio il mafioso o il deportato: quale fra queste interpretazioni è stata per te più impegnativa?

“Recentemente ho interpretato Prometeo in una versione tragicomica. Non è una questione di difficoltà ma di ‘esserci’ dentro. In fondo se vuoi far ridere devi conoscere il pianto, il dramma che è l’altra faccia della medaglia senza la quale non ci sarebbe comicità”.

Durante i tuoi spettacoli di clowneria ti rivolgi a grandi e bambini, occorrono quindi due registri di interpretazione differenti?

“Quando mi viene rivolta questa domanda, dico sempre che realizzo spettacoli per bimbi da 4 a 90 anni perché quando lavori su un certo tipo di comicità, lavori su un tipo di umorismo universale che ingloba qualsiasi età, qualsiasi cultura. È la comicità dell’uomo in quanto tale, con tutta la sua innata assurdità e risibilità”.

A proposito di bambini, da anni ormai pratichi la “clown terapia” negli ospedali, quanto è importante far ridere i bambini durante il periodo di degenza?

“Questo è un tasto delicato. Ridere è importante per portare bimbi e famiglie ‘fuori da quei luoghi’ per qualche ora, così la qualità della vita in quella circostanza si alleggerisce un po’. Questo è quello che Patch Adams mi ha insegnato e che cerco di trasmettere ai più giovani. Quando vedo un bimbo ridere, per me è tutto il mondo che ride, è tutto il genere umano che ride, è la speranza di un mondo migliore, è l’idea che il bello vince. Quando capita ad un bambino in ospedale, magari attaccato alle apparecchiature mediche e senza capelli, beh tutto è amplificato perché la speranza del bene vince”.

Spesso durante i tuoi spettacoli interagisci col pubblico, pensi che il “teatro interattivo” potrebbe conoscere una maggiore diffusione?

“Nei miei spettacoli lavoro senza la famosa ‘quarta parete’ che divide il pubblico dall’attore. Per me il teatro è una festa dove attori e spettatori sono un’unica cosa che viene mossa dall’energia che si scatena tra loro. È un dono, e come dono io lo intendo come uno scambio continuo. Il pubblico ad un certo punto diventa attore ed io spettatore e questo è fantastico perché ci si dimentica in alcuni momenti dei rispettivi ruoli e si instaura una relazione autentica. Quando mi dicono ‘mi hai fatto ridere come un bimbo’, oppure ‘con te sono tornato bambino’, mi emoziono, anche perché penso di aver vinto la mia sfida”.

Arcangelo Gabriele Signorello