Fa una strana impressione passare per la via principale del paese e vedere i circoli più antichi chiusi, dopo gli ultimi decreti del governo e della regione che vietano gli assembramenti (anche) nelle associazioni per evitare la diffusione di questo coronavirus che sta seminando morte e paura in tutto il pianeta. In verità anche la chiusura dei circoli di più recente apertura fa impressione (non fosse altro per l’opera insostituibile che svolgono dal punto di vista sociale), ma quelli antichi – il Club Progressista e il Circolo Operai – , forse, fanno più tenerezza, perché hanno radici e identità profonde.

Il Circolo Operai di Belpasso. Sopra: il Club Progressista

L’ultima chiusura (e forse l’unica, non sappiamo), dicono i più anziani, risale al tempo della guerra, quando le bombe ti cascavano sulla testa, i carri armati attraversavano furiosamente paesi, campagne e città e uno di questi una volta si bloccò nella quarta traversa, mentre i tedeschi sparavano agli inglesi e viceversa, e la gente sfollava in campagna.

Oggi la morte e la paura non sono palpabili, almeno al Sud e, almeno per ora (si spera per sempre, con la dovuta solidarietà ai fratelli del Nord e del resto del mondo, che stanno vivendo momenti terribili), ma si percepiscono tramite internet e la tivù, eppure fa davvero una strana impressione passare per la via principale e vedere le imposte dei due circoli ottocenteschi inesorabilmente sbarrate, e con un cartello incollato alla porta che avvisa “i signori soci” che l’attività è temporaneamente sospesa.

Una strana sensazione. In giro la vita è (almeno apparentemente) quella di sempre, la gente è in strada, nei negozi, al bar, nelle pizzerie – neanche a distanza di un metro l’uno dall’altro, come vuole il governo e come raccomandano gli esperti, ma siamo in Sicilia e se ai siciliani togli il piacere di stare insieme togli tutto – e ogni cosa sembra tranquilla.

Sì, perché questo virus non è terribile come quello che nelle scorse epoche – magari con nomi diversi – ha sterminato milioni di persone. È ammucciatu (sicilianamente parlando), cioè nascosto, ambiguo, imprevedibile, infido, traditore, non ammette ignoranza ed è e fondamentalmente selettivo (quindi stronzo), poiché è inesorabile con i sofferenti e gli ultraottantenni; e indulgente con i giovani, che da un lato scappano, terrorizzati, dal Nord, e dall’altro continuano a frequentare – prima del decreto – feste, pub e discoteche (basta vedere i sondaggi) come se nulla fosse.

Ecco perché l’impressione è davvero strana – un po’ triste, un po’ malinconica, ma soprattutto contrastante – quando vedi questi sodalizi che hanno resistito alle intemperie della storia (almeno quella degli ultimi centocinquant’anni), con quelle imposte di colore bianco serrate.

L’avviso per i soci del Circolo Operai

Per un po’ non vedrai il camino acceso e le persone che discutono amabilmente attorno al fuoco, né l’ingegnere che legge la Gazzetta dello Sport, il presidente che fa i conti dell’ultimo carnevale, l’attore che parla di Martoglio e di Musco, e l’altro ingegnere che parla del Maestro Caruso e il ragioniere che parla della banda musicale, e frattanto gli appassionati di calcio guardano la partita, i giocatori di carambola incrociano le stecche, e gli amanti delle carte giocano a tressette, esattamente come descritto da Nino Martoglio (che queste scene le vide alla fine dell’Ottocento, essendo nato a Belpasso il 3 dicembre 1870, e le raccontò straordinariamente nell’Aria del Continente). Per un periodo non sarà possibile aprire quel meraviglioso salone per organizzare conferenze e feste.

E per un po’ – se ti sposti di circa duecento metri – non vedrai neanche gli artigiani, da sempre spina dorsale del paese, riunirsi all’interno di quello che orgogliosamente definiscono “il nostro circolo”, dove campeggiano i ritratti di Garibaldi e di Mazzini, dove il grande sindaco di Catania, Giuseppe De Felice, uno dei Padri fondatori del partito socialista italiano, fra l’Ottocento e il Novecento lasciò un’impronta indelebile soprattutto quando spiegava ai soci lo statuto dei lavoratori. Anche lì non sarà possibile aprire l’altro bel salone adibito alle manifestazioni culturali e ai balli, nel quale nel 1924 si celebrò Matteotti e si condannò il fascismo al grido di “Viva Matteotti, viva la libertà”.

Questi antichi tronchi d’ulivo (come metaforicamente ci viene di definirli), sopravvissuti a una dittatura, a una guerra e a tanto altro, resisteranno anche a questo. Ma l’inverno sta finendo e la primavera è alle porte. Coraggio ragazzi.

Luciano Mirone