Attendiamo con impazienza la trasmissione de Le Iene contro Claudio Fava, perché vogliamo capire se è vero che l’inviato Gaetano Pecoraro – come ha dichiarato lo stesso Fava – lo ha “aggredito verbalmente in modo violento”, con “intimidazioni” e “affermazioni false al limite dell’avvertimento”, nel corso dell’intervista sul fallito attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, sul quale la Commissione antimafia della Regione Sicilia – presieduta da Fava – ha svolto un’indagine, con tanto di relazione finale, mettendo in evidenza alcuni limiti emersi nell’inchiesta giudiziaria e diverse contraddizioni in cui sarebbero incorsi gli uomini della scorta (e non solo) quando sono stati ascoltati dai magistrati. 

Il giornalista de Le Iene, Gaetano Pecoraro. Sopra: Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia regionale

Vogliamo capire se è vero che durante l’intervista al presidente dell’antimafia siciliana, il giornalista di Italia1 ha detto “In questa relazione avete riportato solo stronzate”, “avete dato la miccia a tutti i mafiosi dei Nebrodi”, addirittura insinuando il sospetto – come dice Fava – di aver manipolato le audizioni delle persone sentite, oppure se si tratta di una ricostruzione fantasiosa del presidente delll’Antimafia siciliana.

Vogliamo capire se è vero che il giornalista de Le Iene ha fatto le domande e lui stesso si è dato le risposte, e se la confezione della trasmissione corrisponde al contenuto dell’intervista integrale (84 minuti registrati dallo staff di Fava) o meno.

È importante vedere tutto questo per capire se la domanda posta dal figlio del fondatore de I Siciliani è pertinente (“Ci sono dei mandanti dietro questa aggressione?”) o se la stessa domanda è destituita di fondamento, come ha spiegato Pecoraro.

Vogliamo capire per quale ragione – senza che la trasmissione sia andata in onda – il fronte antimafia si è spaccato fra i difensori di Fava e i difensori de Le Iene, fra i quali spicca il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore; i familiari di Attilio Manca e dell’agente Nino Agostino, nonché il movimento delle Agende rosse, che hanno espresso solidarietà al giornalista di Italia1 appellandosi al diritto di informazione, pur non avendo ancora visto il programma.

L’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci

Un paio di cose però le sappiamo: 1) la relazione della Commissione regionale antimafia non ha mai attaccato l’ex presidente del Parco dei Nebrodi – come qualcuno strumentalmente ha cercato di insinuare – , ma mette in evidenza dei fatti che riguardano alcune discrepanze emerse nelle indagini portate avanti dai magistrati sul fallito attentato, e una serie di contraddizioni uscite fuori nelle versioni fornite dagli agenti della scorta. In entrambi i casi, comunque, la relazione dell’antimafia regionale ha scritto che Antoci è una vittima inconsapevole; 2) in casi del genere un minimo di prudenza – da entrambi i fronti – non sarebbe male, perché spaccare il movimento antimafia (non lo scopriamo noi), finisce per fare il gioco della mafia.

Se hanno ragione Le Iene, Claudio Fava e i suoi sostenitori dovrebbero fare un atto di umiltà ed ammettere l’errore; signori, abbiamo sbagliato, chiediamo scusa ad un giornalista che ha svolto seriamente il suo dovere.

L’auto oggetto del fallito attentato, su cui prendeva posto l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci

Ma se ha ragione Fava il discorso cambia, poiché si tratta di una persona che – piaccia o no – è il figlio di una vittima della mafia e da decenni porta avanti la sua battaglia contro Cosa nostra. Negli anni Novanta, Claudio scampò a un attentato ideato da Nitto Santapaola, pochi anni prima mandante dell’omicidio del padre.

Come la mettiamo se Claudio Fava dovesse avere ragione? Come ne uscirebbe quel pezzo autorevolissimo di movimento antimafia che ha puntato il dito contro di lui a prescindere?

La verità è che certe materie andrebbero trattate con delicatezza, senza quelle fughe in avanti che rischiano di essere dannose sia per gli accusati, che per gli accusatori.

Luciano Mirone