Abbiamo ascoltato l’audio dell’intervista di Gaetano Pecoraro de Le Iene al presidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia, Claudio Fava, sul caso dell’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, scampato a un attentato la notte fra il 17 e il 18 maggio 2016. E non esprimiamo alcun parere, in quanto non vogliamo dare la stura ad altre polemiche che stanno avvelenando un clima che non ci piace affatto.

Riteniamo che su questo argomento un parere autorevole debba essere espresso dall’opinione pubblica, ma nel modo più democratico possibile: attraverso la messa in onda integrale della registrazione, senza tagli né interruzioni. È l’unico modo per comprendere – al di là dei contenuti che ognuna delle parti ha espresso – chi è stato aggredito e da chi, se è vero che ci sono state delle gravi insinuazioni (non espresse sotto forma di domanda, ma sotto forma di commento) perfino su una presunta manipolazione delle ventidue audizioni, se è vero che l’intervista è stata caratterizzata da frasi ed epiteti non consoni alla professione di Pecoraro, se è vero che il linguaggio del cronista, in certi momenti, ha assunto i toni del comiziante più che del giornalista di inchiesta.

Con una forma del genere, i contenuti della relazione – quelli che interessano maggiormente – sono stati mortificati.

Su questo modo di fare giornalismo preferiamo rimetterci al giudizio della gente (sempre a condizione, come detto, che l’intervista venga trasmessa integralmente). Non perché non apprezziamo tout court il giornalismo delle Iene (anzi, in certe occasioni, come ad esempio quando si sono occupate della strana morte dell’urologo Attilio Manca, ne abbiamo tessuto le lodi), ma perché nel caso di Claudio Fava abbiamo rilevato un linguaggio davvero inqualificabile.

Claudio Fava (sarà retorico quello che si dice, ma è vero) ha una storia dura di antimafia, qualche volta contrassegnata da errori, qualche altra da atteggiamenti discutibili (abbiamo scritto anche questo), ma sempre improntata sull’onestà e sull’impegno civile: per questo è una storia da rispettare, come sono da rispettare le storie di altre persone che stanno dalla sua stessa parte.

“Rispetto” non vuol dire omissione, deferenza o ossequio. Semplicemente rispetto. Senza sconti, con domande scomode, irriverenti, ma da porre con gentilezza, in modo asettico e senza strane allusioni, dando la possibilità all’interlocutore di esprimere un pensiero compiuto, senza essere interrotto ogni secondo. E’ la regola numero uno del giornalismo. Il cronista fa la domanda, l’interlocutore dà la risposta, il telespettatore si fa la sua idea. Stop.

Ma la vicenda che lascia esterrefatti è un’altra. E’ il comunicato stampa (che riproduciamo integralmente) di un movimento come le Agende rosse sottoscritto da persone come Salvatore Borsellino, Nunzia Agostino, Angela e Gino Manca, anche loro piagate dal dolore per quello che hanno subito (oltre a un ex magistrato come Mario Vaudano).

Cari Salvatore, Nunzia, Angela e Gino, perché vi siete schierati “senza se e senza ma” contro Claudio Fava, in un momento in cui la Commissione antimafia siciliana si sta occupando di vicende gravi e delicate di cui il caso Montante e i depistaggi sulla strage di via D’Amelio sono la punta dell’iceberg?

Vi rendete conto che lo scontro si è spostato su un altro terreno? Non più Fava contro Pecoraro; ma Fava contro Borsellino, contro Agostino e contro Manca; antimafia contro antimafia, dolore contro dolore. Una cosa atroce, che non solo delegittima il presidente della Commissione regionale antimafia per i nomi “pesanti” che gli sono stati contrapposti (basta leggere certi commenti sui Social), ma lo espone a seri rischi.

Fra gli attacchi che Fava ha subito negli ultimi tempi, questo è il più sconvolgente. Per favore, diteci che non è vero.

Luciano Mirone

 

Questo il comunicato stampa pubblicato dalle Agende rosse e sottoscritto da Salvatore Borsellino, Mario Vaudano, Nunzia Agostino, Angela e Gino Manca.

15 Febbraio 2020

“C’è molta fantasia, c’è molta esuberanza nel momento in cui bisogna provare a mettere a tacere un giornalista. Una volta si pensava soltanto alle pallottole per posta. Adesso c’è un uso disinibito di strumenti di offesa diretta, ma a volte anche il ricorso strumentale ad artifici del diritto (…) con centinaia di querele e di azioni legali di risarcimento, spesso pretestuose esercitate, o semplicemente minacciate e agitate, con l’intenzione di intimidire e di indurre al silenzio. (…)

Abbiamo rivolto delle domande, peraltro non ruvide. Chi vi parla fa il giornalista e se andate a vedere come faccio il giornalista troverete che io le domande le faccio così a chiunque, perché le domande vengono fatte non per proporre risposte ma per ottenere elementi di verità, elementi di chiarezza, elementi di conoscenza. È utile, anzi, che certe audizioni siano il più possibile articolate, non siano soltanto uno sbrodolamento con mezza domanda e un quarto d’ora di risposta”.

Queste parole vennero pronunciate dall’onorevole e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Claudio Fava il 1 luglio 2015, in occasione dell’ “illustrazione ed esame della proposta di relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie”, davanti alla Commissione presieduta dall’onorevole Rosy Bindi.

Sulla base delle sopracitate affermazioni, che sentiamo di condividere in pieno, siamo rimasti veramente amareggiati dall’azione intrapresa dall’attuale Presidente della Commissione regionale antimafia siciliana, Claudio Fava, contro il giornalista de “Le Iene” Gaetano Pecoraro. Fava, in una conferenza stampa convocata ad hoc nel palazzo dell’Assemblea regionale Siciliana, accusa Pecoraro di averlo aggredito verbalmente durante un’intervista, contenente domande basate su dati asseritamente falsi, per più di 80 minuti. Ma, cosa ancora più grave, attribuisce un intento preciso al giornalista di Italia Uno, quello di voler intimidire la Commissione da lui presieduta. Infine comunica alla stampa l’intenzione di inviare, su deliberazione della Commissione (che ormai con lui si identifica, approvandone le relazioni all’unanimità – M5S, PD, FdI, FI ecc. – e con il consenso esterno del presidente dell’Assemblea regionale siciliana, nientemeno che Gianfranco Micciché, indimenticato sottosegretario all’Economia che riceveva un pusher al ministero), l’audio integrale di quella intervista alle procure di Ragusa e di Catania (per far che?) per le “opportune valutazioni”. Pecoraro, di contro, nega di avere aggredito, minacciato o intimidito Fava e la sua Commissione, aggiungendo di aver soltanto mosso critiche sul lavoro da loro svolto riguardo l’attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.

Gaetano Pecoraro, il cui nome il presidente Fava non ha citato neanche una volta nella sua denuncia pubblica, si è occupato spesso di temi riguardanti la mafia, siciliana e non. Siamo assolutamente sicuri della serietà, della cura, dell’impegno e della passione che Pecoraro mette nel suo lavoro, per averlo potuto apprezzare in occasione delle inchieste da lui svolte sui casi degli omicidi di Attilio Manca e di Antonino Agostino e Ida Castelluccio, che conosciamo bene. Messaggi di stima e di solidarietà nei confronti di Pecoraro sono arrivati, infatti, anche dai familiari di Manca e Agostino.

E’ noto a tutti che “l’esistenza di un vero e proprio diritto ad essere informati è stato ribadito sia dalla Corte costituzionale che dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Diritto che, in un regime di libera democrazia, implica la pluralità delle fonti, il libero accesso alle medesime, l’assenza di ingiustificati ostacoli alla circolazione delle notizie e delle idee. Diritto che va collocato, da una parte tra le garanzie di indipendenza dell’individuo nei confronti del potere e, dall’altra, tra i diritti di partecipazione in quanto insostituibile strumento per assicurare il concorso dei cittadini alla gestione della cosa pubblica”.

Anche queste sono parole sottoscritte, il 5 agosto 2015, da Claudio Fava nella “Relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie” della Commissione parlamentare antimafia, della quale fu proprio lui estensore. Parole che, naturalmente, sentiamo di fare nostre.

Ci auguriamo che il Presidente Fava non abbia cambiato idea sul ruolo e sull’importanza del giornalismo libero in un Paese democratico e che non venga impedito ai cittadini italiani il diritto di formarsi la propria libera opinione guardando il servizio realizzato da Gaetano Pecoraro.

Salvatore Borsellino, Mario Vaudano, Angelina e GinoManca, Nunzia Agostino, Movimento Agende Rosse