Un atto d’accusa durissimo. Nei confronti dell’ex pm Olindo Canali che avrebbe “depistato le indagini” sull’assassinio di suo padre (il giornalista di Barcellona Pozzo di Gotto, Beppe Alfano); nei confronti dei magistrati di Reggio Calabria e dei ministri Alfonso Bonafede e Luigi Di Maio, dai quali si sente presa in giro. Con una speranza: incontrare il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Sonia Alfano, ex presidente della Commissione antimafia europea. Sopra: il giornalista Beppe Alfano

E’ amareggiata Sonia Alfano. E’ sempre battagliera (anzi, la troviamo più battagliera che mai), ma con una sfiducia verso le istituzioni che non avevamo mai notato, almeno non in queste dimensioni. Dopo ventisette anni dall’omicidio (oggi, 8 gennaio 2020, ricorre l’anniversario), l’ex presidente della Commissione antimafia europea racconta diversi retroscena inquietanti e dice che l’omicidio Alfano ha tutte le componenti per essere considerato “un delitto di Stato”. Sia perché il giornalista aveva scoperto il covo nel quale un latitante intoccabile come Nitto Santapaola si nascondeva in quel periodo in questo centro in provincia di Messina, sia perché aveva individuato la rete dei personaggi (altrettanto intoccabili) che lo proteggeva, sia perché aveva scoperto un traffico di armi e droga collegato con la presenza del boss catanese, sia per i “depistaggi di Stato” scattati dopo l’assassinio. In mezzo: una clamorosa censura decisa dalla Rai (ne abbiamo parlato nella puntata precedente), che aveva programmato una fiction sul delitto Alfano (attore principale: Beppe Fiorello), accantonata dopo il pesante intervento di un alto rappresentante politico di Barcellona. Del resto, parlare di un omicidio comune è una cosa, parlare dell’assassinio di un giornalista nel quale sono coinvolti i servizi segreti, la massoneria, gli stessi mafiosi che a Barcellona hanno costruito il telecomando della strage di Capaci un’altra.

Sonia, nei prossimi giorni si apriranno ben due processi in cui si parlerà dell’omicidio di Beppe Alfano.

“Il 15 gennaio inizierà il processo a Reggio Calabria che vedrà imputato Olindo Canali (ex pm di Barcellona, che allora si occupò del delitto Alfano, trasferito successivamente a Milano per incompatibilità ambientale, in quanto risultarono rapporti di amicizia fra lui e una persona che risultava essere contemporaneamente cognato del mandante dell’omicidio e figlio dell’ex boss, ndr), rinviato a giudizio per corruzione, cioè per avere intascato una presunta mazzetta di 300 milioni dal mandante Giuseppe Gullotti per aggiustare il processo. Lui ha sempre negato. Guarda caso adesso è arrivata la revisione del processo a favore di Gullotti. Quindi evidentemente quello che ho sempre detto, oggi è esplicitato da quel rinvio a giudizio, motivo per il quale mi costituirò parte civile”.

L’ex Pm Olindo Canali

Cosa hai sempre detto?

“Che Canali ha depistato le indagini e che non avrebbe né potuto coordinare le indagini, né rappresentare l’accusa in primo grado in quanto conosceva troppo bene la vittima. E invece ha manovrato tutto dall’interno per un motivo ben preciso: poter tenere sotto controllo tutta la situazione. E quando lui mandò un memoriale anonimo alla Procura di Messina mentre si celebrava il processo Mare nostrum contro le cosche barcellonesi, nel quale c’era scritto che la verità su Alfano non era quella che vedeva quelle persone in carcere, ma un’altra, io dissi da subito che l’artefice di quelle pagine era Canali. Quando lui lo ammise, nessun ministro lo ha radiato dalla magistratura: quello che sta accadendo alla Saguto (l’ex presidente della sezione delle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo definitivamente rimossa dall’Ordine giudiziario perché accusata “di aver gestito, amministrato e sfruttato i sequestri di prevenzione antimafia a fini personali traendone profitti e favori”, ndr.) è niente in confronto. Canali oggi indossa la toga ed è giudice a Milano. La Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha ritenuto provato il versamento di una somma di denaro al dr. Canali nell’interesse di Gullotti, al fine di fargli ottenere la revisione della condanna per l’omicidio di mio padre e che la somma in questione ammonta a 50mila euro a fronte di un accordo costruttivo per complessive 300mila euro. Da qui il processo per corruzione a carico di Canali e di Gullotti, insieme al pentito Carmelo D’Amico, con udienza preliminare fissata per il prossimo 15 gennaio, nel quale io mi sono già costituita parte civile. Gullotti, tramite il suo avvocato, ha chiesto la revisione del processo, disposta lo scorso anno (maggio 2019) da Reggio Calabria senza passare dal vaglio di ammissibilità”.

Puoi spiegare meglio?

“Per revisionare una sentenza definitiva in Cassazione, bisogna portare nuove prove, che devono essere vagliate in una successiva udienza. Se vengono ritenute valide ai fini della revisione, allora questa viene disposta, diversamente no. Ebbene: questa udienza non c’è mai stata, caso unico nella storia della giustizia italiana”.

E il 30 gennaio?

“Si farà la terza udienza del processo su Gullotti con una revisione in corso, addirittura saltando il vaglio di ammissibilità”.

E quindi?

“Noi familiari non abbiamo ricevuto nemmeno la notifica dell’inizio della revisione. A maggio c’è stato questo primo difetto, l’udienza è stata rinviata all’11 ottobre: niente da fare, sono stati riscontrati altri difetti di notifica. Che adesso pare che siano stati colmati. Quindi l’udienza sarà il 30 gennaio”.

Cosa ti aspetti?

“Spero di poter vedere in faccia almeno una volta Canali, aspetto questo confronto da decenni: prima me lo aveva promesso la Raffa (magistrato occupatosi del caso Alfano, ndr.) in Dda, poi anche Cavallo e Di Giorgio in Dda (altri due magistrati, ndr.), ma questo confronto non c’è mai stato. Spero che arrivi adesso”.

Attualmente pende una condanna definitiva nei confronti di Giuseppe Gullotti, boss di Barcellona ritenuto il mandante dell’assassinio di tuo padre e il consegnatario del telecomando della strage di Capaci a Giovanni Brusca.

Il boss di Barcellona Giuseppe Gullotti (a sinistra) ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano (a destra)

“Lui ha disposto quell’omicidio in quanto riteneva mio padre troppo fastidioso su quel territorio. Aveva scoperto troppe cose inquietanti, non solo per il sistema locale”.

Sì, ma in primo e in secondo grado non si parla della latitanza di Santapaola, delle logge massoniche coperte, del traffico di armi e di droga, ecc. Come movente del delitto vengono addotti due scandali: quello dell’Aias (Associazione nazionale assistenza spastici) e quello sui finanziamenti europei riconducibili al commercio degli agrumi, due casi in cui c’è un certo giro di soldi, che però non giustificano un cadavere eccellente come quello di un giornalista, e neanche i successivi depistaggi.

“Certo. La storia della latitanza di Santapaola, delle logge massoniche coperte e del traffico d’armi salta fuori a Cassazione inoltrata”.

Perché questi fatti emergono dopo?

“Succede l’8 gennaio 2003, quando durante la commemorazione di mio padre (era il decennale) quella manifestazione prende una piega imbarazzante, poiché c’è un attacco del fronte missino-fascista di Barcellona nei confronti miei, dell’organizzazione e del mio avvocato Fabio Repici. A quel punto ho ribadito tutto quello che avevo già raccontato al mio legale precedente, evidentemente non così interessato a queste vicende, che Canali temeva che sapessi”.

Quindi queste cose le hai dette anche prima del 2003?

“Ricapitoliamo: Canali aveva il terrore che io potessi saperle tutte e fino in fondo. Lo dimostra il fatto che papà muore venerdì 8 gennaio 1993, lunedì ci sono i funerali e la stessa sera lui mi manda a prendere con una volante a sirene spiegate e mi fa portare in commissariato: ‘Ho bisogno che tu mi dica tutto quello che sai, dobbiamo verbalizzarlo’. Io non ho mai avuto fiducia nei confronti di Canali e lo dicevo sempre a mio padre, il quale mi rispondeva: ‘Quando una persona te la prendi sul naso non perdoni, lui è monzese, è completamente estraneo a questi contesti’. ‘Papà, a me questa persona non piace: quando è fuori è amico di tutti, ma con te mantiene le distanze. Per carità, è giusto, ma le distanze si mantengono con tutti, non solo con le persone perbene”.

Il boss Giovanni Brusca

Quindi ti manda a prendere con una volante della Polizia?

“Sì, perché lui temeva che io potessi spifferare il contenuto di un colloquio che c’era stato pochi giorni prima dell’omicidio, quando mio padre, nella casa del magistrato di via Del Mare a Barcellona, in mia presenza, gli rivelò di conoscere il nascondiglio segreto di Santapaola ed altri retroscena relativi agli affari di Cosa nostra. In quell’occasione l’ex Pm gli consigliò di scrivere tutto quello che sapeva e di spedirlo in un plico anonimo di colore giallo alla Dia di Catania, dove un super poliziotto, avvisato da lui, lo avrebbe ricevuto”.

E allora?

“E allora quella sera mi fece portare a sirene spiegate al commissariato di Barcellona e mi spiegò che doveva prendermi a verbale: ‘Io a lei non racconto niente’, dissi. E aggiunsi: ‘Siccome qualche giorno fa, lei disse a mio padre di scrivere tutto e di spedirlo alla Dia di Catania, mi faccia parlare con il super poliziotto che ha ricevuto il plico giallo’. Due giorni dopo (mercoledì sera) la stessa scena: sirene spiegate e di nuovo al commissariato. Mi fanno entrare in una stanza vuota con un tavolo e una sedia e una persona seduta dietro a questo tavolo: ‘Buonasera signorina, lei ha chiesto di parlare con me’. ‘Veramente no. Mi dica lei se è a conoscenza di quello che ha scritto mio padre e possiamo parlarne’. Il signore fece scena muta. A quel punto mi alzai e me ne andai: ‘Non ho niente da dirle’. Uscendo incontrai Canali: ‘Allora?’, mi disse. ‘Non ho niente da dire – risposi – . Parlerò solo con la persona che ha letto quello che ha scritto mio padre’. ‘Fossi in te – ribatté Canali – dimenticherei tutto, è una storia molto più grande di te’. Quindi le mie perplessità sono agli atti. Basta leggere questi atti per capire”.

Quando hai cominciato a non avere fiducia in Canali?

“Praticamente da sempre, ma la sera in cui morì mio padre e Canali salì a casa e fece tutta quella sceneggiata con le lacrime agli occhi, ebbi la conferma: mio padre lo aveva chiamato il pomeriggio del giorno prima. Lui gli disse che era a Monza e che non avrebbe potuto vederlo. Mio padre in quel momento aveva paura e voleva parlargli. Lo cercò perfino il giorno che morì e lui si negava sempre. Come è possibile che mio padre muore alle 22,23 e lui alle 22,50 è dentro casa nostra, guarda me, mia madre e i miei fratelli e con la lacrimuccia esclama: ’E’ tutta colpa mia”.

Sei in condizione di ricordare il super poliziotto?

“Non ha mai avuto un nome: quando mio padre chiese a chi avrebbe dovuto spedire il plico giallo, Canali insistette: ‘Non ti preoccupare, in portineria sanno a chi recapitarlo”.

Chi sono i responsabili sul depistaggio delle indagini?

“Buona parte della magistratura e della politica del tempo”.

E successivamente?

“Buona parte della magistratura e della politica attuale. Recentemente ho chiesto al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di conferire con lui: l’ho chiamato tramite ‘batteria’ (uno strumento che registra tutto, quindi facilmente verificabile) e mi hanno detto: ‘E’ in riunione, la richiamerà tra un’ora’. Ancora aspetto. Se deve andare nella sua Mazara per prendere un caffè con chiunque lo fa, se deve incontrare la figlia di una vittima di mafia che gli vuole rappresentare lo schifo che c’è dietro a quel processo, non ha tempo”.

Cosa vorresti dire al ministro?

“Che è mancato un vaglio di ammissibilità sulla revisione di un processo; che la Dda di Messina singhiozza, nonostante io e i miei avvocati produciamo centinaia di pagine di memoria”.

Eppure parliamo di un movimento, il M5S, di cui fa parte il ministro Bonafede, che all’epoca del delitto di tuo padre neanche esisteva, quindi a rigor di logica è estraneo a certi coinvolgimenti.

“All’epoca. All’epoca Bonafede chissà cosa faceva. Oggi scalda la poltrona. Ho contattato persino Di Maio: gli ho inviato dei messaggi su wa: ‘Sì, adesso ti chiamo, adesso faccio un salto…’. Sparito anche lui”.

Cosa chiedi allo Stato?

“Vorrei essere ricevuta dal presidente Mattarella. Lui è un familiare di vittima di mafia: chi più di lui può capire il nostro stato d’animo?”.

Gli hai chiesto udienza?

“Sì, ma sono certa che non gli sia stato rappresentato”.

Ne sei certa?

“Sono certa che il Capo dello Stato non sia stato messo al corrente della mia richiesta”.

Luciano Mirone