Il “Signor Ateo” è il romanzo d’esordio di Francesco Adile, scrittore siciliano poco più che ventenne, che in questa “opera prima” esprime tutti gli elementi dei lavori giovanili: l’entusiasmo, la freschezza e il coraggio nel contestare ogni forma di ipocrisia e di convenzione sociale di certe società chiuse alle novità, al rinnovamento, all’evoluzione culturale e sociale. Il “Signor Ateo” è la metafora di tutti i Signor Ateo del mondo, ovvero di quella rara categoria di persone abituate a pensare con  la propria testa, che per questa ragione provano il disagio e la malinconia di vivere in certi contesti devastati dall’ignoranza, dove il dubbio è un’astrazione e la certezza il feticcio da adorare a ogni costo. 

E però Francesco Adile – malgrado certe ingenuità tipiche dell’età – non cade nella trappola di ergersi a fustigatore degli altri. Nel suo romanzo utilizza l’ironia nei confronti del “Signor Ateo”, di cui descrive lo straniamento e i tic, il dramma interiore e la solitudine, e passa a quel microcosmo nel quale egli vive e verso il quale prova una forma di ripulsa per gli schemi imposti da una società a forte radicamento clericale.

Ma attenzione: l’aggettivo “ateo” non per forza vuol dire “non credente”. E’ un’altra metafora che indica un personaggio che può anche credere ma a modo suo, ribellandosi al perbenismo di una società troppo incapsulata nel dogma per essere  vera. autentica. “Il Signor Ateo” è un libro che si finanzia dal basso e proprio per questo, secondo noi, va incoraggiato (l.m).

Basta pre-ordinare una copia nel formato cartaceo o ebook digitando il link https://bookabook.it/libri/il-signor-ateo/ e seguire le istruzioni. Questo un brano del volume:

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Questa è la storia, di scarsa rilevanza e non necessariamente interessante, di un uomo di terza età con la barba e i capelli non troppo lunghi, fisico asciutto di chi fa attività fisica ma senza strafare, che viveva in una casetta dalla facciata rossa di fronte al mare. Nessuno sapeva quale fosse il suo vero nome e neanche il suo vero cognome. Non aveva moglie né figli, né parenti di sorta, così come non aveva amici. Tutti lo conoscevano, semplicemente, come “Signor Ateo”, per via, ovviamente, della sua completa mancanza di fede che lo rendeva l’unico senza Dio di tutto il paese. Un paese dalle profonde radici cattoliche in cui tutti, uomini e donne, dal più giovane al più anziano, quelli malati e quelli sani, quelli simpatici e quelli fastidiosi, quelli taciturni e quelli logorroici, erano devoti a Nostro Signore, a Gesù Cristo e alla Madonna. Tutti, appunto, tranne il Signor Ateo, il quale era, come già suggerisce il soprannome poi divenuto nome proprio, l’unico ateo del paese.

A proposito, per rendere un po’ più completa questa storia poco avvincente e della cui reale necessità possiamo apertamente discutere, è bene sapere che i fatti narrati si svolgono in un’isola del Mediterraneo il cui nome, per ragioni francamente inesistenti, non verrà rivelato. Basti sapere che è un’isola relativamente piccola (o relativamente grande, se paragonata ad altre isole), poco remota, poco selvaggia, decentemente collegata con la terraferma, la tipica isola in cui in inverno non c’è nulla da fare e in estate si riempie di turisti di ogni età ed estrazione sociale, quelli che vengono da lontano, quelli che vengono da vicino; tra questi si possono trovare i classici “oriundi”, ovvero coloro che in inverno vivono altrove ma in estate passano le vacanze nell’isola perché il padre, la madre, il nonno, la nonna o chi per loro sono originari dell’isola.

L’ennesimo piccolo centro in cui l’esistenza scorre lenta in un fiume di inconsapevole noia e apatia, talvolta smorzate da sollazzamenti come feste e sagre di paese, fuochi d’artificio ed altre amenità varie, solitamente concentrate nel periodo estivo.

Ma non era una brutta isola. Al contrario, era un luogo splendido, il tipico posto facilmente fotografabile, in cui l’impiegato medio-borghese passa le vacanze per poi vantarsene con i colleghi in un monotono lunedì di fine agosto di ritorno dalle ferie.

E poi era piena di cantanti e musicisti del luogo che si esibivano nei locali del centro storico, coccolati dalla calda aria estiva delle serate all’aperto e da quel senso di felicità che sembra non avere alcuna scadenza. Si, era proprio una bella isola.

Ma tornando al Signor Ateo (in fondo è lui, e non l’isola, il protagonista di questa storia), è bene sapere che era un uomo solo e solitario, scontroso e tendenzialmente antipatico, cinico, a tratti scortese, sicuramente misantropo.

Passava le giornate a leggere, studiare, approfondire, curiosare, e quando non era impegnato in attività del genere, lo si poteva osservare sulla spiaggia a fumare toscanelli o nell’acqua a nuotare, per mantenere quel fisico asciutto un po’ raro per quelli della sua età, che al nuotare preferivano mangiare, bere e ancora mangiare.

Era molto colto, il Signor Ateo. Leggeva molti libri e di diverso genere, dai grandi classici come “Il Giovane Holden” (che poi, neanche a dirlo, era il suo libro preferito) ai thriller, spesso considerati un genere di serie B. Ma a lui non interessava, poiché credeva che la cultura coincidesse con la curiosità, e la persona davvero colta è capace di aprirsi alle più varie forme di produzione culturale, da quelle più “pop” ad altre più elaborate e di nicchia. Cosa c’è di più banale della costante e ossessiva ricerca dell’originalità, che spesso caratterizza chi ama forgiarsi del titolo di “intellettuale”? Un esercizio inutile che limita la spontaneità delle scelte, ecco cosa pensava il Signor Ateo. In fondo, credeva il Signor Ateo, si può essere complessi senza dover necessariamente risultare complicati.

In ogni caso, era innegabile che la sua cultura e il suo ateismo lo confinavano in un’assoluta ed eterna minoranza, una scomoda singolarità su quell’isola in cui la domenica le chiese erano sempre e immancabilmente affollate di fedeli, in estate come in inverno, un posto in cui gli unici libri che si leggevano erano la Bibbia e i testi del Catechismo, un luogo in cui la gente usciva la sera, si riuniva intorno a un tavolo e non parlava di nulla, si limitava a guardarsi in faccia, a fumarsi in faccia e a sorseggiare un bicchiere pieno di qualcosa.

Persone totalmente vuote di contenuto, le definiva il Signor Ateo, nei confronti delle quali nutriva la più completa e radicata disistima. “Il vostro problema, che poi è anche la vostra più grande salvezza, è la totale mancanza di consapevolezza”; questa era una delle “frasi celebri” che il Signor Ateo gridava durante una delle innumerevoli litigate con il malcapitato compaesano di turno (per motivi non sempre comprensibili o comunque condivisibili), il quale reagiva fissandolo con occhi confusi, al più si toglieva dall’imbarazzo lanciando un commento tipo “è lei che ha problemi, Signor Ateo” oppure “ma a lei chi la capisce?”. Nessuno, in effetti.

Uno degli aforismi preferiti del Signor Ateo era una frase di Charles Baudelaire, ovvero: “sappiamo che saremo capiti da un numero piccolo, ma questo ci basta”.

Non era sempre stato così. Spesso non gli bastava. Da giovane, per esempio, avrebbe spesso voluto che ci fossero più persone in grado di capirlo, pronte a dargli ragione, capaci di dire, semplicemente, “sì, sono d’accordo con te”, oppure “sono anche io così, come sei tu”. E invece, con il passare degli anni, era stato costretto a farsi andare bene quel micro universo di solitudine in cui alloggiava, quel piccolo spazio fatto di poche, solide certezze e abitudini, fino a quando la frase di Baudelaire non divenne “so che non sarò capito da nessuno, ma questo mi basta”.

Il Signor Ateo era eccessivamente severo nei confronti del prossimo? Probabile, ma chi può dirlo fino in fondo? Era così e basta, andava bene a lui e, tutto sommato, andava bene anche agli altri abitanti dell’isola, che avevano passivamente accettato le attitudini e i comportamenti di quello strano soggetto di cui nessuno ricordava il vero nome, e così il Signor Ateo era finito per diventare un estraneo nel posto in cui era nato e cresciuto, uno straniero in patria.

Aveva mai pensato di andare via, di lasciare l’isola per raggiungere mete più adatte al suo modo di pensare e di agire, luoghi in cui, magari, si sarebbe sentito meno solo? Si, ci aveva pensato, ma restò nient’altro che un pensiero.

Rimase lì, il Signor Ateo, nell’isola in cui non poteva contare su nessun affetto, l’isola che si portava nel cuore come un peso orribile. Rimase lì, il Signor Ateo, e i motivi di questa scelta, o di questa “non-scelta”, sono tutt’ora sconosciuti.

Nella foto: la copertina del libro

Francesco Adile