Il servizio che Rai Tre Sicilia le ha dedicato qualche mese fa è stato tra i più visti degli ultimi tempi. Eppure lei, Mela Bruno da Belpasso, provincia di Catania, Sicilia, profondo Sud, pezzo d’Italia dove tutto è infinitamente più difficile rispetto al resto d’Italia, si schermisce e con un sorriso dice: “Sono una semplice artigiana”,

Mela Bruno. Sopra: due Coffe sul pianoforte. Una raffigura la Testa di Moro

senza rendersi conto che, per quello che fa, andrebbe definita in modo diverso (magari “creatrice” o al limite “artista”), poiché lei è l’ideatrice e l’esecutrice delle Coffe d’amare, le borse per signora dall’inconfondibile stile siciliano che furoreggiano sia nell’immaginario femminile, che sui Social – dove il servizio di Rino Realmuto è diventato virale, ma anche il bellissimo video del maestro Pippo Vitaliti, anche lui di Belpasso  – , al punto da attirare l’attenzione di gentildonne di New York, dell’Austria, della Francia e di diverse regioni d’Italia, perfino di un’architetta che per Cartier progetta pezzi d’oro per le pregiate collezioni, e anche da un’autrice di raffinatissimi foulard per signora, la stilista Patrizia Papandrea, che l’ha contattata da Caulonia (Reggio Calabria), importante colonia della Magna Grecia, dove le Coffe, in una magica sera d’estate, si sono fuse mirabilmente con gli svolazzanti fazzoletti di seta, fino a diventare un tutt’uno dal forte sapore mediterraneo: da un lato il prode Orlando paladino, dall’altro un maestoso castello della Locride raffigurato da Patrizia, in attesa di altre affascinanti avventure in Loira, dove le borse di Mela sono attese.

Fuor di metafora: l’estate scorsa a Roccella Jonica le Coffe hanno sfilato sotto il magnifico maniero del XIII secolo assieme ai foulard di Patrizia. E adesso si parla di un defilè in terra francese dove un’altra signora, Berarger Faucher, l’ha invitata dopo aver subito l’attrazione fatale delle borse di Mela.

Ma cos’è originariamente una coffa? Anticamente veniva costruita dagli artigiani siciliani che intrecciavano manualmente le fibre della palma nana: era usata nel trasporto del cibo per i cavalli, gli asini e i muli, oppure venivano poste lungo i fianchi dei quadrupedi per trasportare il raccolto. Mela l’ha riscoperta, l’ha rilanciata e ne ha fatto una piccola opera d’arte. E così, senza l’aiuto di politici, di imprenditori, di ricchi magnati della moda, va avanti, dopo essersi inventata un modello. Da sola. Una piccola, ma significativa testimonianza di emancipazione femminile.

I più esperti in materia diranno che di borse in stile siculo con contaminazioni arabo-normanne ne esistono – Dolce e Gabbana insegnano – ed è vero, ma a noi le Coffe di Mela appaiono particolari, intanto per la fattura eseguita pazientemente a mano (oltre duecentotrenta quelle realizzate finora), poi per i soggetti raffigurati e per quel crogiolo di culture contenute nelle borse, infine per un brandello di anima che l’autrice lascia in ognuna di esse.

La Coffa con la Santuzza (a destra) e (a sinistra) un’altra creazione di Mela Bruno

Se così non fosse, Mamma Rai non si sarebbe scomodata per recarsi in questo paese di 28mila abitanti alle pendici dell’Etna per intervistarla. E neanche queste signore d’oltreoceano e d’oltralpe, che ne hanno prenotato uno stock. Immaginiamo una Testa di Moro, un paladino di Francia, una Santuzza, un San Giorgio a cavallo, una ruota di carretto, un’arancia, un limone, una pianta di fichidindia che si aggirano fra i viali del Central park di New York o nella scalinata di Montmartre a Parigi. Soggetti, questi, che campeggiano al centro delle Coffe, attorniati da una serie di piccoli oggetti fantasmagorici che fanno da ornamento: collane e corone di pietre colorate, monete dorate, specchi, frange di seta, nappe, e il logo Coffe d’amare cucito nel retro: la mitica Montagna e il mare stilizzati.

Mela è seduta nel salotto della sua casa di Belpasso, circondata da decine di borse e borsette che la guardano a distanza. Magari non tutte, ma quelle che hanno gli occhi (Orlando, Rinaldo, la Santuzza, le Testa di Moro) è come se osservassero tutto. Impressionante. Non parlano perché non hanno voce, ma al loro posto lo fa la persona che le ha create: “Tutto è iniziato dieci anni fa – dice – , quando è nata mia nipote.

Mela mentre lavora a mano una Coffa

Testa di Moro al femminile in un’opera di Mela Bruno

Proprio allora mi è venuta l’ispirazione di creare degli oggetti sovrapponendo le stoffe. La tecnica è quella dell’applique, o, per dirla in inglese, del patchwork: pezzi di tessuti cuciti su altri pezzi fino a creare un unicum multicolore e originale. Ecco allora uscir fuori dei pupazzetti, delle copertine, delle trapunte, dei copridivani. Quattro anni fa ho avuto l’ispirazione delle Coffe. È successo guardando casualmente una borsa prodotta con questa tecnica. Perché non realizzare qualcosa del genere attraverso la raffigurazione delle mille anime della Sicilia?”. Detto, fatto.

Mela si mette al lavoro, prende una vecchia coffa contadina, disegna su un panno la faccia di quell’enorme pupo siciliano che i suoi genitori le comprarono molti anni prima a Palermo, e comincia a fare i capelli, la bocca, i baffi, infine gli occhi. Ecco, per disegnare quest’ultimo particolare Mela deve avere avuto un’ispirazione speciale, in quanto gli occhi sono di un’espressività incredibile. Prende le forbici, taglia con cura i bordi, poi piglia ago e filo e cuce a mano ogni cosa. Pian piano l’opera prende forma. Originale certo, ma deve essere arricchita dai colori della Sicilia. Ed ecco il verde, il rosso, il giallo, l’arancione, l’azzurro, il blu: gradazioni forti che nell’isola si vedono trecentosessantacinque giorni l’anno. Da quel momento Mela non fa altro che pensare alle Coffe. Sia di giorno che di notte. Di giorno lavora, di notte fantastica e progetta un nuovo soggetto.

“E’ come se fossero una parte di me – prosegue – . Non potete immaginare l’emozione quando ho venduto la prima. All’hotel Excelsior di Catania, nel corso di una esposizione: l’ha comprata un ragazzo della provincia di Palermo che passa l’estate a Lipari: l’ha regalata alla fidanzata della quale era follemente innamorato. Quando ho spedito in Francia la borsa con l’immagine di Santa Lucia mi sono messa a piangere. Su fb ho scritto questo pensierino: “Vola piccola Lucia, oltrepassa le Alpi…”. Santa Lucia è la Patrona di Belpasso. Una sensazione che non avevo mai provato. Perché Mela questo nome, Coffe d’amare? Perché queste borse hanno un’anima, è come se un’energia antica e straordinaria si sprigionasse dalle viscere della terra e arrivasse fin qui, non è facile spiegare”. Orlando nel frattempo osserva e sorride.

Luciano Mirone