Otto bambini. Ci sono anche loro tra i dispersi del naufragio avvenuto questa notte davanti all’isola di Lampedusa. Otto bambini che fra qualche ora saranno dimenticati, come tutti gli altri bambini che hanno fatto la stessa fine in seguito a un naufragio o a un bombardamento. “Dispersi”, ci dicono le cronache, ma non è difficile immaginare che fine abbiano fatto e magari se se ne salverà qualcuno.

Otto bambini che sognavano un futuro in Europa, partiti col loro barchino dall’Africa, diversi giorni fa, insieme ai grandi.

Come fai a trovare le parole giuste per commentare una tragedia del genere, mentre sei comodamente seduto a guardare la tivù? Non esistono parole quando si parla di cose che neanche lontanamente immaginiamo, quando mandiamo i nostri figli all’asilo, a scuola, in palestra, al calcio, al basket, alla settimana bianca, alla gita scolastica, alla serata in discoteca. Come fai a capire?

Eppure quegli otto bambini avevano gli stessi sorrisi, lo stesso ottimismo, gli stessi sogni dei nostri figli, ma non riusciremo mai a capirli, perché non sappiamo cos’è la fame e la guerra. Ma li odiamo, perché abbiamo bisogno di odiare qualcuno per sollevarci dal nostro senso di colpa per quello che stiamo infliggendo alla terra.

Adesso li stanno cercando e non sappiamo quando e se li ritroveranno. Nove adulti li hanno pescati morti. Se ne sono salvati ventidue su una cinquantina di tunisini e di sudsahariani. Ma loro, quegli otto bambini, li piango, come se fossero figli miei.

Luciano Mirone