Giugno ha i colori dell’arcobaleno. Da Padova a Palermo e da Vienna a New York l’onda dei Pride colora le strade, anche quest’anno, per celebrare l’orgoglio LGBT (sigla utilizzata come termine collettivo per riferirsi a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender) e chiedere diritti ed uguaglianza. I cortei, che di anno in anno si fanno sempre più numerosi, sono una festa gioiosa che porta con se’ un grande significato politico e civile.

Il 2019 è un anno di importanti anniversari: il 28 giugno, giornata mondiale dell’orgoglio LGBT, ricorrono i cinquant’anni dei Moti di Stonewall, la rivolta che a New York ha dato vita al movimento di liberazione gay. Negli Stati Uniti degli anni Sessanta l’omosessualità era considerata una devianza ed era punita dalla legge. Bar e night erano gli unici luoghi dove gli omosessuali potevano esprimersi liberamente e quando, una notte di giugno di cinquant’anni fa, la polizia irrompe nel locale gay Stonewall Inn, gli avventori si ribellano e si riversano per le strade della Grande Mela. E’ l’inizio della presa di coscienza di una necessaria lotta politica per rivendicare diritti e condannare persecuzioni e discriminazioni.

In Italia ricorrono i venticinque anni dal primo Pride unitario, tenutosi a Roma nel 1994, che ha dato il via al movimento dei Pride italiani che oggi coinvolge decine di città da Nord a Sud.

A Palermo, arrivato al suo decimo anno, il Pride e’ “Favolosamente antifascista”. Al nero dei vecchi e nuovi fascismi si contrappongono i colori di un lungo corteo di sorrisi e occhi fieri. Soprattutto giovanissimi che chiedono un Paese che veda le differenze come una risorsa e non come un pericolo e dove le libertà civili e sociali siano un diritto universale e non un privilegio.

In questi lunghi cinquant’anni di lotte tanta strada e’ stata fatta ma se guardiamo alle cronache quotidiane e a certe dichiarazioni politiche la strada e’ ancora lunga da percorrere. Ne parliamo con Dario Accolla (scrittore, attivista per i diritti delle persone LGBT e cofondatore di www.gaypost.it)

Tra preghiere e processioni riparatorie e un ministro della famiglia, Lorenzo Fontana, che dichiara come il “gender” sia una minaccia per il nostro Paese pare che, oggi con maggior forza, il Pride sia un momento di lotta politica…

“Il pride – o meglio, i pride (sono quaranta, quest’anno in Italia) – è forse una delle poche manifestazioni politiche ancora capaci di radunare masse importanti nel nostro Paese. Masse che, a centinaia di migliaia di persone, scendono in piazza per ricordare che la questione dell’uguaglianza giuridica e del rispetto delle differenze sono questioni che ci riguardando tutti e tutte, senza nessuna esclusione. Perché se oggi colpisci una categoria sociale, domani potrebbe accadere a qualsiasi altra. Ciò che lega la maggioranza dei pride e l’azione politica del movimento Lgbt in Italia è l’intersezionalità delle lotte. Io non scendo in strada a reclamare i miei diritti solo perché sono gay, ma per molte altre ragioni: perché sono, in un certo qual modo, anche migrante (da siciliano, sono andato a vivere in un altro posto); perché la questione dei diritti sociali legati al mondo del lavoro mi riguarda; perché il femminismo, con cui siamo legati a doppia mandata come persone Lgbt, è una prospettiva di lotta che libera anche le minoranze. Per tutte queste ragioni è importante scendere in piazza. Anche perché, dall’altra parte, c’è un governo che mina il nostro diritto alla felicità ed è ora di farsi sentire, forse più che in altri momenti storici”.

Il Pride e’ un atto di democrazia, rivendicazione di diritti negati, dovrebbe quindi coinvolgere tutti.

“Per le ragioni che ho appena esposto, non può esistere una lotta che voglia essere quanto più rappresentativa e che non sia, al tempo stesso, intersezionale. Ai pride vedi donne, persone migranti, associazioni professionali e di settore. Vedi, anche, moltissime persone eterosessuali. Non può esserci liberazione che non coinvolga un numero quanto più ampio di protagonisti e protagoniste. Il pride è (o quanto meno, dovrebbe essere) tutto questo: una lotta di popolo. Certo, attraverso un’adeguata elaborazione politica che crei consenso attraverso un progetto comune e un percorso condiviso. Non si va molto lontani senza alleati. Il governo questo lo ha capito, per questo mira a destrutturare il tessuto sociale, facendo distinguo tra italiani e non, tra migranti e oriundi, tra persone di fede diversa, ecc. Noi dobbiamo rovesciare questa narrazione, nello spirito di una grande alleanza civica, democratica e umana”.

Nonostante il clima politico e culturale e la lotta per i diritti che appare ancora lunga quello che mi colpisce, ogni anno, e’ l’atmosfera di festa e gioia che traspare dai volti di chi partecipa al Pride. Tu che hai partecipato, in varie città, qual e’ l’aspetto più bello, l’anima pulsante?

“L’aspetto che, personalmente, mi colpisce di più della marea colorata che caratterizza i pride è il riconoscersi in una storia comune. Sono a New York, adesso. Incontro molti italiani venuti qui per celebrare i cinquant’anni di Stonewall. La rivolta da cui tutto è partito. Fu un atto di rabbia, fu rivolta. E poi rivoluzione. Abbiamo rivoluzionato le nostre esistenze trasformando quello “sguardo ferito” in gioia di vivere, pur tra le mille difficoltà. Per questo nei nostri pride si grida e si balla. Per celebrare la vita, che è l’insieme di tutto questo. Questo è il pride. E non può essere altrimenti”.

Marina Mongiovì